VITA NUOVA: FOCUS SAFFO, CATULLO, QUASIMODO, TESTI CON TRADUZIONE E COMMENTO

FOCUS DI PRESENTAZIONE DEGLI AUTORI, COMPRESO IL TRADUTTORE QUASIMODO, PROPOSTI IN QUESTO APPROFONDIMENTO ATTIVATO DALLA LETTURA DELLA VITA NUOVA

I FOCUS: SAFFO

Nessuna fonte ci fa sapere quando e dove sia stato roso dai topi l’ultimo manoscritto di Saffo o di Menandro, scriveva Paul Maas in una efficace sintesi delle Sorti della letteratura greca antica a Bisanzio. E commentava: Di avvenimenti di tal genere è fatta la storia della perdita della letteratura antica.  Certo è che nel XII secolo, a Bisanzio, il dottissimo Tzetzes lamentava  la perdita completa delle poesie di Saffo, nell’introduzione al suo trattato Sulla metrica pindarica. Ma non aveva certo a disposizione un catalogo collettivo, per cui la sua affermazione può anche apparire problematica. Comunque, ciò che s’era perso nel Medio Evo, ogni tanto e sia pure in piccola parte rispuntò, in particolare tra Otto e Novecento, dagli scavi in Egitto: spezzoni di libri su papiro, via via finiti sotto terra con il declino e la definitiva scomparsa della civiltà greca in quella regione. Così, ad esempio, abbiamo recuperato parecchio Menandro, autore della commedia nuova greca,  Aristotele, e anche un po’ di Saffo, poetessa nata nell’isola di Lesbo, forse a Mitilene, alla fine del VII secolo a.C. La nuova poesia di lei, affiorata nel 2015, purtroppo da collezione privata (dunque senza precisazioni sul momento del rinvenimento e sulla provenienza) ha la fortuna di essere stata affidata ad un esperto come Dirk Obbink, professore a Oxford, che ha provveduto a pubblicarla una rivista specialistica di papirologia ed epigrafia.

Si tratta di due frammenti: il più ampio è stato denominato il frammento dei fratelli,  perché vi si nominano Carasso e Larico, i due fratelli di Saffo, già noti attraverso lo storico Erodoto (II,135)da cui apprendiamo anche altre informazioni su Carasso, il quale, dopo aver speso molto denaro per riscattare, in Egitto, una cortigiana, era tornato a Mitilene, ispirando a Saffo una poesia piena di critiche nei suoi confronti. .
Il nuovo frammento si pone come antecedente immediato di questo fatto noto, dato che  ci fa sapere che Carasso sta tornando. I nuovi frammenti non apportano nulla di nuovo, quindi, ma si collegano con quanto sapevamo già di Saffo e che ora riporto di seguito. Dall’isola originaria, Lesbo, Saffo dovette fuggire con la famiglia in occasione di torbidi scoppiati per motivi politici, andando in esilio in Sicilia, forse ad Akragas (Agrigento).  Un’informazione abbastanza certa riguarda la sua attività principale, educatrice di giovani donne, in un contesto che, pur non rintracciandosi il termine nei frammenti a noi pervenuti, poteva forse definirsi tìaso. Con questo nome veniva originariamente indicato un culto tributato a Dioniso, ma divenne poi genericamente sinonimo di setta, confraternita. Saffo si dedicava alla formazione culturale e spirituale delle ragazze e di questo si trovano molte tracce nei suoi scritti, in cui la divinità più onorata è Afrodite. Sempre dai suoi scritti sono ricavabili indicazioni sull’importanza annessa, nelle relazioni interpersonali, alla dimensione amorosa, nonché sessuale, senza alcuna rilevanza di distinzione fra amore etero o omosessuale. L’insistenza con cui invece si ricostruisce ancor oggi l’orizzonte di pensiero e sentimento di questa scrittrice ricorrendo a questa terminologia è fuorviante, in quanto frutto della nostra prospettiva culturale profondamente dominata dall’esigenza di circoscrivere e etichettare. Afrodite, infatti, è dea dell’amore in tutte le sue declinazioni, e in questo senso sono da intendere gli omaggi recatele da Saffo attraverso, o insieme, alle fanciulle da lei educate alla vita. Saffo componeva  InniOdi, Epitalami (canti nuziali),  componimenti sempre accompagnati da musica e versificati nella forma quantitativa propria della lingua greca come di quella latina (la metrica italiana, invece, è accentuativa: di qui un’altra difficoltà di traduzione peculiare dei testi in poesia). Sulla data di morte di Saffo non si hanno certezze: la leggenda alla quale hanno dato consistenza poetica sia Ovidio sia Leopardi vuole che si sia gettata dalla rupe di Leucade (isola di Lefkada) per disperazione d’un amore non corrisposto per il barcaiolo Faone. 

https://it.wikipedia.org/wiki/Saffo_a_Leucade#/media/File:Antoine-Jean_Gros_-_Sappho_at_Leucate_-_WGA10704.jpg

FOCUS 2: CATULLO

Le uniche notizie biografiche su Catullo sono quelle rilevabili dai suoi carmi, dato che non ci sono pervenute biografie scritte da antichi su di lui. Nacque nella prima metà del I secolo a. C., probabilmente in Gallia Cisalpina (Italia settentrionale), da famiglia agiata: a Sirmione, sul lago di Garda, dove si trovava una villa di famiglia, il padre di Catullo avrebbe ospitato varie volte Giulio Cesare (l’informazione ci è fornita dallo storico Svetonio, vissuto tra I e II secolo d. C.). Intorno al 60 si trovava già a Roma per studiare, come tutti i giovani di buona famiglia, ma rifiutò di dedicarsi alla carriera politica, al cursus honorum, per votarsi totalmente alla poesia: la corrente poetica che contribuì ad animare insieme ad altri venne, con intenzioni dispregiative, definita neoterismo (dal greco neòteori, traducibile come più nuovi¸ e latinizzato in poetae novi) da Cicerone, che considerava la poesia un’attività indegna del civis romanus votato per definizione alla partecipazione attiva alla vita politica. Sempre intorno al 60 Catullo incontra una donna, che canterà sempre col nome di Lesbia (“la fanciulla di Lesbo”, in onore di Saffo), forse identificabile con Clodia, sorella del tribuno della plebe Publio Clodio Pulchro, acerrimo nemico di Cicerone e protagonista delle violente lotte politiche del periodo, e moglie del proconsole nel territorio Cisalpino, Quinto Metello Celere.  Un altro evento che risulta testimoniato da un componimento è la morte, avvenuta nella Troade probabilmente nel 58, del fratello di Catullo, al quale egli era molto legato. Nel 57 accompagna il pretore Caio Memmio (dedicatario del De rerum natura che il poeta Lucrezio scrive in quegli anni) in Bitinia, si reca sulla tomba del fratello nella Troade e, ritornato a Sirmione, vi trascorre gli ultimi anni della sua breve vita, morendo nel 54. Tutti i carmina di Catullo sono stati raccolti, secondo l’uso inaugurato dagli alessandrini nel III secolo a. C., in base a criteri metrici e non cronologici:  sono 116 carmi suddivisi in tre sezioni, ossia dal primo al sessantesimo le cosiddette nugae, sciocchezzuole, versi leggeri, dal sessantunesimo al sessantottesimo i carmina docta, comprendenti elegie (soprattutto di argomento sentimentale), epilli (carmi che cantano vicende epiche), epitalami (canti nuziali) e dal sessantanovesimo all’ultimo, epigrammata ossia epigrammi o elegie tutti in distico elegiaco (esametro e pentametro) ma di argomenti affini alla prima sezione, di contenuti molto varî. La lettura del Liber consente tra l’altro di ricostruire la concezione dell’amore di Catullo, ispirata dalla vicenda sentimentale vissuta con Lesbia-Clodia.

FOCUS 3: SALVATORE QUASIMODO

Nato in Sicilia, a Modica, nel  1901, Ungaretti si dedica precocemente e da autodidatta alle lingue classiche. Le sue prime poesie, raccolte in Acque e terre, 1930 Oboe sommerso (1932), per citare solo le prime, sono ispirate dai miti antichi e epigrammatiche nella forma: brevi, concentrate, a volte criptiche, affini in questo all’ispirazione della poesia ermetica, che in tale periodo rappresenta una delle scelte espressive dei poeti italiani. Quasimodo insegna letteratura italiana al Conservatorio Verdi di Milano dal  1941 e fino alla morte, avvenuta a Napoli nel 1968. Nel 1959 viene insignito del premio Nobel. Nel corso della vita, oltre a comporre moltissime raccolte e saggi critici,  pratica assiduamente la traduzione di poeti greci e latini, dai lirici greci a Virgilio e Catullo, cura  alcune traduzioni da Shakespeare, e compila un'antologia della Lirica d'amore italiana, dalle origini ai nostri giorni (1957) e un'altra della Poesia italiana del dopoguerra (1958). 

TESTI CON TRADUZIONE  E COMMENTO

Il Fainetai moi di Saffo  nella traduzione di Salvatore Quasimodo

A me pare uguale agli dei 

      chi a te vicino così dolce 

      suono ascolta mentre tu parli 

      e ridi amorosamente. Subito a me 

5    il cuore si agita nel petto 

      solo che appena ti veda, e la voce 

      si perde nella lingua inerte. 

      Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle, 

      e ho buio negli occhi e il rombo 

10  del sangue nelle orecchie. 

      E tutta in sudore e tremante 

      come erba patita scoloro: 

      e morte non pare lontana 

      a me rapita di mente. 

       Da Lirici greci, in Poesie e discorsi sulla poesia, Mondadori, 1971

 Liber di Catullo, carmen 51, aemulatio del Fainetai moi 

TESTO IN LATINO CON LETTERALE ACCANTO (come interlineare)

Ille mi par esse deo videtur,  egli a me [mi, per mihi, è un troncamento]  pari essere a un dio sembra

ille, si fas est, superare divos, egli, se lecito è, superare gli dei,

 qui sedens adversus identidem te  che sedendo di fronte contiuamente te

 spectat et audit  guarda e ascolta

 dulce ridentem, misero quod omnis dolcemente ridente, a misero  cosa che tutti [omnis sta per omnes]

eripit sensus mihi: nam simul te,  strappa si sensi a me: infatti non appena te,

Lesbia aspexi, nihil est super mi  o Lesbia ho visto, niente  a me sopravvive [superest]

< vocis in ore>,                             [si tratta di una lacuna compensata per ipotesi] della voce in bocca

lingua sed torpet, tenuis sub artus  ma la lingua si intorpidisce, una sottile sotto le giunture

 flamma demanat, sonitu suopte   fiamma si diffonde,  e [-te è un'enclitica]di un suono loro

 tintinant aures, gemina teguntur  tintinnano le orecchie, i due si coprono

 lumina nocte.    occhi di notte. 

Otium Catulle tibi molestum est; L'ozio o Catullo a te è molesto;

otio exultas nimiumque gestis;   per l'ozio ti esalti e troppo agiti;

otium et reges prius et beatas   l'ozio sia i re in precedenza sia felici

perdidit urbes.      ha mandato in rovina città

RIORDINO (SENZA INTERVENTI PER MIGLIORARE L'ITALIANO)

Egli a me sembra essere  pari a un dio,  egli, se è lecito, [sembra] superare gli dei, che sedendoti di fronte continuamente ti  guarda e ascolta mentre ridi dolcemente, cosa che a me misero strappa tutti i sensi: infatti non appena ti ho visto,  o Lesbia, a me nulla sopravvive  della voce in bocca, la lingua si intorpidisce, una sottile fiamma si diffonde sotto le giunture, di un suono loro  tintinnano le orecchie, i due occhi si coprono di oscurità. L'ozio o Catullo a te è molesto;   per l'ozio ti esalti e troppo agiti; l'ozio ha mandato in rovina sia i re in precedenza sia felici città.

TRADUZIONE FINALE RIELABORATA PER "DIRE QUASI LA STESSA COSA" (CB)

Mi pare un dio, sì, azzardo, 

anche superiore agli dei,

chi, sedendoti accanto,

senza sosta ti guarda e ascolta 

ridere dolcemente, 

e io mi sento svenire, poveretto: 

appena ti vedo, Lesbia mia, 

mi manca il respiro,

s’intorpidisce la lingua,

una fiamma pervade le membra, 

mi fischiano le orecchie,

le tenebre mi offuscano la vista.

Ti fa male stare in ozio, Catullo; 

nell’ozio ti esalti troppo;

l’ozio ha mandato in rovina re e città prospere.

COMMENTO COMPARATISTICO

Nel testo di Saffo, qui tradotto dal poeta novecentesco Salvatore Quasimodo, l’io lirico pone attenzione a chi riesca a stare vicino all’essere da lui amato. La vicinanza dell’amato per l’io lirico è infatti fonte di un turbamento fisico imponente e descritto in qualche particolare: il cuore batte velocemente alla sola vista e la capacità di parlare viene meno. Segue l’evocazione di una condizione assimilabile a una sincope: senso di calore, abbassamento della vista, ronzio acustico, sudorazione e tremito involontario. La poetessa si sente morire e preda della follia, rapita da una divinità, completamente avvinta dal furor. Val la pena ricordare, a questo proposito, che il furor, ovvero appunto una condizione di turbamento profondo dello spirito che per gli antichi corrispondeva alla follia e potrebbe essere accostato a quello che nell’immaginario cristiano diventa la possessione, è una parola che condivide la stessa radice delle Furiae, dette anche Dirae o Erinni, divinità infere, ossia infernali, del pantheon greco-romano, incarnazioni o personificazioni dello stato d’animo sconvolto di chi abbia un rimorso per aver commesso qualche atto criminoso. In tal caso le Furie intervengono a perseguitare chi si sia macchiato della colpa, finché non riesce a espiare e a placare le Furie che si trasformano a quel punto in divinità benevole, dette Eumenidi, ossia divinità della buona disposizione d’animo. Il furor, inoltre, può essere tanto identificabile con un’ira guerriera e sanguinaria, come quella trasmessa a Ercole dalla camicia imbrattata col sangue di Nesso, quanto con un forsennato sentimento amoroso, in genere mal diretto, ovvero orientato verso qualcuno che non corrisponde il sentimento o lo tradisce. Gli esempi mitici soccorrono nell’identificazione di questa passione. Fedra, la moglie di Teseo  che s’innamora del figliastro Ippolito dal quale non è corrisposta, è una classica incarnazione del furor, ovvero di un desiderio amoroso appunto forsennato e incontrollabile, che pare essere di provenienza esterna, divina. A sostanziare questa percezione, ancora una volta è la vicenda mitica:  Fedra è figlia di Pasifae, la sventurata moglie di Minosse che viene maledetta dagli dei per colpa del marito e s’innamora  follemente di un toro, col quale soddisfa la sua voglia grazie a un marchingegno a forma di giovenca  costruito da Dedalo.

Nel componimento catulliano, invece, dopo un inizio che ricalca la composizione di Saffo, manca il riferimento alla follia e compare piuttosto una sorta di alleggerimento sentimentale, sotto forma di riferimento alla condizione esistenziale che favorirebbe questa perdita di controllo: l’ozio che consente al poeta di dedicarsi all’amore è, immaginiamo con un pizzico d’ironia, evocato in analogia con quello che può mandare in rovina i popoli rammollendone le virili inclinazioni. L’aemulatio si manifesta qui come distanziamento dal modello: Catullo sottrae alla sua versione dedicata a Lesbia, la tragicità che la poetessa greca aveva invece conferito al suo grido d’amore rimasto senza eco. 


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