ANALISI DEL FILM L'ONDA E MATERIALI PER IL TEMA

 L’ONDA E ALTRO

Il film Die Welle è arrivato nelle sale italiane  nel 2008,  tradotto letteralmente  come L’onda;  è diretto da Dennis Gansel, regista tedesco, che si è ispirato per la sceneggiatura al romanzo The Wave  dello statunitense Todd Strasser, pubblicato nel 1981, ma anche a The third wave, un esperimento sociale che sarebbe stato condotto dall’insegnante di storia  Ron Jones in un’università della California,  a Palo Alto, alla fine degli anni Sessanta. Lo stesso soggetto ha dato anche origine negli anni Ottanta a uno special tv, mandato in onda negli Stati Uniti, e successivamente a una serie tedesca curata dallo stesso Gansel e risalente al 2019, intitolata Wir sind di Welle, Noi siamo l’onda.  

Uno dei punti centrali, forse quello di partenza, del film è racchiuso nell’interrogativo Com’è potuto accadere (riferito all’affermarsi del totalitarismo hitleriano), dal quale si diparte immediatamente anche un secondo interrogativo, Potrebbe accadere ancora, alla medesima nazione o ad altre?

Il professor Wenger, Rainer per gli allievi,  gode nella scuola  di una consolidata fama presso gli studenti, alimentata da autorevolezza e carisma. Tra l’altro, è allenatore di una squadra di pallanuoto, che sostiene con dedizione e entusiasmo, ed è formata da svariati suoi studenti. Non è altrettanto apprezzato dal corpo insegnante, che considera con sospetto alcune sue iniziative didattiche e, probabilmente, ne invidia la popolarità, mentre la preside del liceo tende a sostenerlo. In qualità di insegnante di storia, in una settimana a tema, invece di occuparsi come preventivato di anarchia (argomento che avrebbe preferito, ma che gli viene sottratto da un collega più anziano e evidentemente conservatore) viene per così dire costretto a spiegare agli studenti l’autocrazia. Al termine di una lezione deludente, arenatasi in alcune definizioni basilari ma poco convincenti per spiegare l’affermarsi di un fenomeno pervasivo come il totalitarismo, Rainer è colto da un’ispirazione: rendere pratica la teoria, ossia far sperimentare ai ragazzi come si possa arrivare a aderire completamente, senza riserve, con entusiasmo, abdicando alla propria volontà e autonomia, a un sistema di pensiero stabilito da un altro. La questione del maggior impegno richiesto per assumere posizioni autonome (frutto di scelte personali e ponderate) rispetto a eteronome (imposte da altri con autorità) risale al mondo antico: una commedia di Terenzio, intitolata Adelphoe (I fratelli) e scritta nel II secolo a. C. da un africano divenuto liberto nella Roma del circolo scipionico, tratta esattamente questo argomento, relativamente all’educazione dei giovani. Il professor Rainer dunque, già provvisto nel contesto del liceo in cui opera, di notevole autorevolezza, decide di dimostrare come l’autorità possa concorrere molto più della prima a produrre, oltre al consenso, l’obbedienza assoluta, la convergenza di intenti e la coesione, la serietà e la coerenza nel perseguirli, fino al limite estremo della convinzione che, poiché quanto si fa è frutto di un’unità garantita da un leader ed è indiscutibilmente  giusto, chiunque ostacoli e si frapponga al disegno collettivo vada eliminato, con qualsiasi mezzo. A questo limite estremo, quando ormai appare evidente la deriva del movimento cui ha dato vita e esattamente con l’intento di dissolverlo, Rainer conduce il suo esperimento sociale: si spinge infatti quasi a far approvare la condanna a morte del giovane Marco, che è d’accordo col professore e si presta alla dimostrazione, destinata a culminare in tragedia. In questa scena finale, tutti, anche gli amici di Marco, sono portati fanaticamente a condannarlo per la sua opposizione manifesta all’Onda, non fosse che all’improvviso Rainer cambia tono e dichiara di aver voluto appunto dimostrare come l’appartenenza al movimento,  nato per mostrare come si possa arrivare al nazismo, abbia trasformato tutti loro in strumenti passivi di una volontà che non arriva  più a interpellare il loro giudizio o il loro spirito critico, perché proprio da questi prescinde del tutto: chi appartiene all’Onda non pensa più per conto suo ma pensa con una sorta di cervello collettivo, manipolato da un soggetto (in questo caso il professore, che tuttavia, fino a un certo punto, stava controllando un esperimento psicologico) che potrebbe ben essere una persona squilibrata, un egocentrico, un asociale, un paranoico ma soprattutto qualcuno che non tollera nessuna forma di controllo mentre impone agli altri, a tutti gli altri, il suo. Riporto alcuni dettagli, funzionali all’intendimento del testo. Quando Karo, la fidanzata di Marco, che manifesta precocemente insofferenza nei riguardi di alcune regole imposte dall’esperimento (in particolare l’adozione di una divisa, la camicia bianca), obietta a una richiesta esplicita di obbedienza ma io non voglio, esprime sinteticamente quale possa essere l’anticorpo basilare che previene una deriva totalitaria: la volontà del singolo unita a un’assunzione di responsabilità. Sono proprio io a non volere e questo manifesta per cominciare l’avvio di un pensiero critico. Altri protagonisti della storia non possiedono un anticorpo del genere, ma viceversa sono esposti da circostanze personali o da fragilità psicologiche, a cercare proprio il conforto della mancata necessità di assumere continuamente decisioni dettate da volontà autonoma: se si appartiene a un gruppo che agisce in base a regole e programmi, dalla prima decisione (quella di appartenervi) derivano tutte le altre. Senza contare che l’appartenenza a un gruppo forte (numeroso, sicuro di sé) accresce, per quanto infondatamente a ben vedere, la sicurezza in se stessi: il caso di Tim, che sempre nella scena finale, dopo aver tentato di opporsi allo scioglimento dell’Onda, spara prima a un compagno e poi si suicida, è a questo proposito eloquente, persino didascalico nell’economia complessiva del film. Tim infatti è un senza famiglia (anche se non in senso proprio, dal punto di vista affettivo), dunque particolarmente esposto a subire la suggestione di un movimento che si proponga di assorbire completamente i suoi membri, dando loro appunto quell’identità, e quell’importanza,  della quale si sentono sprovvisti.

Il tasto toccato da questo film è delicato. Dichiaratamente, anche considerando le fonti di cui si serve, che ho brevemente indicato all’inizio, tratta il tema del totalitarismo, col quale si fa coincidere esplicitamente quello nazista, senza poter escludere riferimenti mentali, da parte di spettatori di tutte le nazionalità, al totalitarismo sovietico o a quello cinese. Estendendo il campo dei riferimenti anche oltre, ci si può spingere a pensare che le strategie totalitarie non siano esclusivo retaggio di regimi apertamente dispotici, ossia regimi a partito unico, dal momento che il veleno del pensiero omologato, di quello che rinuncia all’esercizio volontario della critica, e che si sente protetto quando non si discosta dalla maggioranza, si può infiltrare anche a prescindere dall’imposizione di un regime apertamente auoritario. È a questo punto che si può opportunamente inserire il secondo interrogativo: potrebbe accadere ancora? O,  per essere ancora più provocatori,  non starà per caso già accadendo di nuovo?

Ecco, di seguito,  altri stimoli intellettuali per voi.

Dici:
per noi va male. Il buio
cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione
più difficile di quando
si era appena cominciato.

E il nemico ci sta innanzi
più potente che mai.
Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso
una apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori,
non si può negarlo.
Siamo sempre di meno. Le nostre
parole d’ordine sono confuse. Una parte
delle nostre parole
le ha stravolte il nemico fino a renderle
irriconoscibili.

Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto? Su chi
contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti
via dalla corrente? Resteremo indietro, senza
comprendere più nessuno e da nessuno compresi?

O contare sulla buona sorte?

Questo tu chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta
oltre la tua. (B. Brecht, A chi esita,
An den Schwankenden, 1957)

 Questo è il compito di un padre, abituare suo figlio ad agire onestamente da solo, anziché per paura degli altri: è questa la differenza che c'è tra il padre e il padrone. Chi non ci riesce ammetta di non saper comandare ai figli. (da Terenzio, Adelphoe, atto I, scena I, 160 a. C.)

«Degli strumenti alcuni sono inanimati, altri animati [...] lo schiavo è un oggetto di proprietà animato e ogni servitore è come uno strumento che ha precedenza sugli altri strumenti. Se ogni strumento riuscisse a compiere la sua funzione o dietro un comando o prevedendolo in anticipo [...] i capi artigiani non avrebbero davvero bisogno di subordinati, né i padroni di schiavi [...] Lo schiavo è un subordinato nell’ordine degli strumenti d’azione [...] Mentre il padrone è solo padrone dello schiavo e non appartiene allo schiavo, lo schiavo non è solo schiavo del padrone, ma appartiene interamente a lui. Dunque, quale sia la natura dello schiavo e quali le sue capacità, è chiaro da queste considerazioni: un essere che per natura non appartiene a se stesso ma a un altro, pur essendo uomo, questo è per natura schiavo: e appartiene a un altro chi, pur essendo uomo, è oggetto di proprietà: e oggetto di proprietà è uno strumento ordinato all’azione e separato». 1 ARISTOTELE, Politica, I (A), 1253b, 27-38 e 1254a, 1, 12-19 (cito dalla trad. di R. Laurenti, Roma-Bari, Laterza, 1993)

«Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso, non esiste più.» (Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo)

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