LAVORO OTTAVE ARIOSTO 1-9 (da completare lunedì 31 in classe)

 1) Francesco, Luca

1

Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori,

le cortesie, l’audaci imprese io canto,

che furo al tempo che passaro i Mori

d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,

seguendo l’ire e i giovenil furori

d’Agramante lor re, che si diè vanto

di vendicar la morte di Troiano

sopra re Carlo imperator romano.


2

Dirò d’Orlando in un medesmo tratto

cosa non detta in prosa mai né in rima:

che per amor venne in furore e matto,

d’uom che sí saggio era stimato prima;

se da colei che tal quasi m’ha fatto,

che ’l poco ingegno ad or ad or mi lima,

me ne sará però tanto concesso,

che mi basti a finir quanto ho promesso.


3

Piacciavi, generosa Erculea prole,

ornamento e splendor del secol nostro,

Ippolito, aggradir questo che vuole

e darvi sol può l’umil servo vostro.

Quel ch’io vi debbo, posso di parole

pagare in parte e d’opera d’inchiostro;

né che poco io vi dia da imputar sono,

che quanto io posso dar, tutto vi dono.


4

Voi sentirete fra i piú degni eroi,

che nominar con laude m’apparecchio,

ricordar quel Ruggier, che fu di voi

e de’ vostri avi illustri il ceppo vecchio.

L’alto valore e’ chiari gesti suoi

vi farò udir, se voi mi date orecchio,

e vostri alti pensier cedino un poco,

sí che tra lor miei versi abbiano loco.


Io canto le donne, i cavalieri, le guerre, gli amori, le imprese cortesi e audaci che si svolsero nel tempo in cui i mori d'Africa passarono il mare e fecero tanti danni in Francia, le ire e i furori giovanili del loro re Agramante, che si vantò di vendicare la morte del padre Troiano contro l'imperatore romano Carlo Magno.


Al tempo stesso racconterò di Orlando una cosa che non è mai stata detta né in prosa né in versi: cioè che per divenne furioso e matto, lui che prima era giudicato un uomo saggio; a patto che colei che mi ha reso quasi come lui e che consuma il mio ingegno a poco a poco me ne conceda abbastanza per terminare l'opera promessa.


Nobile figlio di Ercole, ornamento e splendore del nostro secolo, Ippolito, vogliate gradire questo dono che vi possa dare il vostro umile servo. Quello che vi devo posso ripagarlo in parte con delle parole e un'opera letteraria; non devo essere accusato di darvi poco, poiché vi dono tutto quello che posso.


Voi sentirete ricordare tra i più nobili eroi che nomino con lodi anche quel Ruggiero che fu il capostipite di voi e dei vostri illustri avi. Io vi farò ascoltare il suo grande valore e le sue nobili gesta, se mi porgete l’orecchio e se i vostri alti pensieri si ritrarranno un poco, così che i miei versi abbiano spazio tra loro.



Il poema si apre con la protasi, ovvero la parte introduttiva dei poemi classici in cui era esposto il tema del canto. 

Il primo verso espone, con l’utilizzo del chiasmo, la tematica dell’amore e la tematica guerresca. Nel v. 2 il poeta sottolinea di essere  il responsabile della composizione. 

Nella prima ottava inoltre è presente un evidente collegamento con il poema precedente, l’Orlando innamorato di Boiardo, con cui è strettamente connesso.

Nell’ottava successiva è presente una variazione sul tema dell’invocazione alla Musa, che per il poeta assume le fattezze della donna amata, Alessandra Benucci.

Successivamente il poeta si dichiara umil servo di Ippolito, il vescovo d' Este al cui servizio restò a lungo, chiamato, forse con un filo di ironia, visti i crescenti attriti con lui. “ornamento e splendor del secol nostro”. Il motivo encomiastico, la dedica alla casata, si manifesta a questo punto, introducendo il riferimento a Ruggiero, personaggio della storia al quale riconosce il ruolo di capostipite della casata.






 






OTTAVE 5-9

5

Orlando, che gran tempo inamorato

fu de la bella Angelica, e per lei

in India, in Media, in Tartaria lasciato

avea infiniti et immortal trofei,

in Ponente con essa era tornato,

dove sotto i gran monti Pirenei

con la gente di Francia e de Lamagna

re Carlo era attendato alla campagna,


6

per far al re Marsilio e al re Agramante

battersi ancor del folle ardir la guancia,

d’aver condotto, l’un, d’Africa quante

genti erano atte a portar spada e lancia;

l’altro, d’aver spinta la Spagna inante

a destruzion del bel regno di Francia.

E cosí Orlando arrivò quivi a punto:

ma tosto si pentí d’esservi giunto;


7

che vi fu tolta la sua donna poi:

ecco il giudicio uman come spesso erra!

Quella che dagli esperii ai liti eoi

avea difesa con sí lunga guerra,

or tolta gli è fra tanti amici suoi,

senza spada adoprar, ne la sua terra.

Il savio imperator, ch’estinguer volse

un grave incendio, fu che gli la tolse.


8

Nata pochi dí inanzi era una gara

tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,

che ambi avean per la bellezza rara

d’amoroso disio l’animo caldo.

Carlo, che non avea tal lite cara,

che gli rendea l’aiuto lor men saldo,

questa donzella, che la causa n’era,

tolse, e diè in mano al duca di Bavera;


9

in premio promettendola a quel d’essi

ch’in quel conflitto, in quella gran giornata,

degli infideli piú copia uccidessi,

e di sua man prestassi opra piú grata.

Contrari ai voti poi furo i successi;

ch’in fuga andò la gente battezzata,

e con molti altri fu ’l duca prigione,

e restò abbandonato il padiglione.


Orlando, che era stato per tanto tempo innamorato della bella Angelica; e per lei in India, in Oriente, aveva lasciato infiniti e immortali trofei, era tornato con lei in Occidente, dove, sotto i grandi monti Pirenei, con i francesi e i tedeschi il re Carlo si era insediato in campo aperto, 




per far sì che il re Marsilio ed il re Agramante si pentissero ancora una volta delle loro folli azioni; Agramante per aver condotto dall’Africa tutte le persone in grado di portare spada e lancia, Marsilio per aver condotto la Spagna nella distruzione del bel regno di Francia. 

È così Orlando arrivò al momento giusto, ma subito si pentì di essere venuto; 


perché gli fu tolta la sua amata: ecco come il giudizio umano spesso sbaglia! La donna che dalle coste Orientali a quelle Occidentali aveva difeso con una lunga guerra, ora gli viene tolta tra tanti suoi amici, senza che sia adoperata spada alcuna, sulla sua terra. Il saggio imperatore, con la volontà di estinguere un grave incendio, fu a toglierla.



Pochi giorni prima era infatti iniziato un conflitto tra il conte Orlando e suo cugino Rinaldo, poiché entrambi, per la rara bellezza di Angelica, avevano l’animo infiammato dal desiderio amoroso. Carlo non vedeva di buon occhio tale lite, che poteva mettere in dubbio il loro aiuto, questa fanciulla, che ne era la causa, prese e consegnò nelle mani del duca Namo di Baviera;


promettendola in premio a chi dei due in questo conflitto, in quella battaglia campale, avesse ucciso più infedeli, e con la sua mano avesse reso maggior servizio. Gli eventi fecero venire meno le promesse, perché i cristiani dovettero ritirarsi, e insieme a molti altri il duca Namo fu fatto prigioniero e la sua tenda restò abbandonata 


La quinta ottava ci fornisce un quadro generale della vicenda, riprendendo gli avvenimenti dell’Orlando innamorato. 

Viene introdotto il personaggio di Carlo, pronto a sferrare un attacco contro il il re Agramante e il re Marsilio. Tuttavia all’interno del suo esercito scoppia una contesa tra Orlando e suo cugino Rinaldo, entrambi innamorati della bella Angelica. Allora il re Carlo decide di consegnare la giovane al duca di Baviera, promettendola come premio a chi dei due si avesse ucciso più infedeli in battaglia. 

Sfortunatamente i cristiani hanno la peggio, e sono costretti a ritirarsi e il duca di Baviera viene catturato.


Riccardo, Tommaso


TESTO


1

     Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori,

le cortesie, l’audaci imprese io canto,

che furo al tempo che passaro i Mori

d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,

seguendo l’ire e i giovenil furori

d’Agramante lor re, che si diè vanto

di vendicar la morte di Troiano

sopra re Carlo imperator romano.




2

     Dirò d’Orlando in un medesmo tratto

cosa non detta in prosa mai né in rima:

che per amor venne in furore e matto,

d’uom che sí saggio era stimato prima;

se da colei che tal quasi m’ha fatto,

che ’l poco ingegno ad or ad or mi lima,

me ne sará però tanto concesso,

che mi basti a finir quanto ho promesso.



3

     Piacciavi, generosa Erculea prole,

ornamento e splendor del secol nostro,

Ippolito, aggradir questo che vuole

e darvi sol può l’umil servo vostro.

Quel ch’io vi debbo, posso di parole

pagare in parte e d’opera d’inchiostro;

né che poco io vi dia da imputar sono,

che quanto io posso dar, tutto vi dono.


4

     Voi sentirete fra i piú degni eroi,

che nominar con laude m’apparecchio,

ricordar quel Ruggier, che fu di voi

e de’ vostri avi illustri il ceppo vecchio.

L’alto valore e’ chiari gesti suoi

vi farò udir, se voi mi date orecchio,

e vostri alti pensier cedino un poco,

sí che tra lor miei versi abbiano loco.




5

     Orlando, che gran tempo inamorato

fu de la bella Angelica, e per lei

in India, in Media, in Tartaria lasciato

avea infiniti et immortal trofei,

in Ponente con essa era tornato,

dove sotto i gran monti Pirenei

con la gente di Francia e de Lamagna

re Carlo era attendato alla campagna,



6

     per far al re Marsilio e al re Agramante

battersi ancor del folle ardir la guancia,

d’aver condotto, l’un, d’Africa quante

genti erano atte a portar spada e lancia;

l’altro, d’aver spinta la Spagna inante

a destruzion del bel regno di Francia.

E cosí Orlando arrivò quivi a punto:

ma tosto si pentí d’esservi giunto;


7

     che vi fu tolta la sua donna poi:

ecco il giudicio uman come spesso erra!

Quella che dagli esperii ai liti eoi

avea difesa con sí lunga guerra,

or tolta gli è fra tanti amici suoi,

senza spada adoprar, ne la sua terra.

Il savio imperator, ch’estinguer volse

un grave incendio, fu che gli la tolse.



8

     Nata pochi dí inanzi era una gara

tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,

che ambi avean per la bellezza rara

d’amoroso disio l’animo caldo.

Carlo, che non avea tal lite cara,

che gli rendea l’aiuto lor men saldo,

questa donzella, che la causa n’era,

tolse, e diè in mano al duca di Bavera;


9

     in premio promettendola a quel d’essi

ch’in quel conflitto, in quella gran giornata,

degli infideli piú copia uccidessi,

e di sua man prestassi opra piú grata.

Contrari ai voti poi furo i successi;

ch’in fuga andò la gente battezzata,

e con molti altri fu ’l duca prigione,

e restò abbandonato il padiglione.

PARAFRASI


1

Delle donne, dei cavalieri, delle battaglie, degli amori,

degli atti di cortesia, delle audaci imprese io canto,

che ci furono nel tempo in cui i Mori

attraversarono il mare d’Africa, e arrecarono tanto danno in Francia, seguendo le ire e i furori giovanili

del loro re Agramante, il quale si vantò

di poter vendicare la morte di Traiano

contro il re Carlo, imperatore romano.



2

Nello stesso tempo, racconterò di Orlando

cose che non sono state mai dette né in prosa né in rima:

che per amore, divenne completamente folle,

lui che prima era considerato uomo così saggio;

dirò queste cose se da parte di colei che mi ha quasi reso tale

e che a poco a poco consuma il mio piccolo ingegno,

me ne sarà concesso a sufficienza che mi basti a finire l’opera che ho promesso.




3

Vi piaccia, generosa e nobile prole di Ercole,

che siete ornamento e splendore del nostro tempo,

Ippolito, di gradire questo poema che vuole

e darvi solo può il vostro umile servitore.

Il mio debito nei vostri confronti, lo posso solo

pagare in parte con le mie parole ed opere scritte;

non mi si potrà accusare di darvi poco,

perché io vi dono tutto quanto posso donarvi, non ho altro.


4

Voi mi sentirete ricordare fra i più valorosi eroi,

che mi appresto a citare lodandoli,

di quel Ruggiero che fu il vostro

e dei vostri nobili avi il capostipite.

Il suo grande valore e le sue imprese

vi farò udire se mi presterete ascolto;

e ile vostre profonde preoccupazioni cedano un poco,

in modo che tra loro i miei versi possano trovare spazio.



5

Orlando, che per tanto tempo era stato innamorato

della bella Angelica e per lei

in India, in Oriente, aveva lasciato

trofei immortali ed in numero infinito,

era tornato infine con la donna amata in Occidente

dove, sotto gli alti monti Pirenei,

con i Francesi ed i Tedeschi,

il re Carlo si era insediato in campo aperto



6

perché il re Marsilio ed il re Agramante

si pentissero ancora una volta delle loro folli azioni;

Agramante per avere condotto dall’Africa tante

persone quanto erano in grado di portare spada e lancia,

Marsilio per avere condotto la Spagna

nella distruzione del bel regno di Francia.

E così Orlando arrivò sul posto al momento giusto,

ma subito si pentì di esservi giunto.


7

Gli fu anche tolta la donna che amava:

ecco come il giudizio umano spesso sbaglia!

La donna che dalle coste Orientali a quelle Occidentali

aveva difeso con una tanto lunga guerra,

ora gli viene tolta tra tanti suoi amici,

senza che sia adoperata spada alcuna, sulla sua terra.

Il saggio imperatore, con la volontà di estinguere

un grave incendio (pericolosa contesa d’amore), fu a togliergliela.


8

Pochi giorni prima era infatti iniziato un conflitto

tra il conte Orlando e suo cugino Rinaldo,

poiché entrambi, per la rara bellezza di Angelica,

avevano l’animo infiammato dal desiderio amoroso.

Carlo non vedeva di buon occhio tale lite,

che poteva mettere in dubbio il loro aiuto,

questa fanciulla (Angelica), che ne era la causa,

prese e consegno nelle mani del duca Namo di Baviera;


9

promettendola in premio a chi dei due,

nell’imminente conflitto, in quella battaglia campale,

avesse ucciso il maggior numero di infedeli,

e con la sua mano avesse quindi reso maggior servizio.

Gli eventi fecero però venire meno le promesse;

perché i cristiani dovettero ritirarsi,

insieme a molti altri, il duca Namo fu fatto prigioniero

e la sua tenda rimase vuota (Angelica rimase incustodita).

COMMENTO



L’Orlando furioso rientra nelle opere di letteratura cavalleresca ed è un poema suddiviso in ottave, le prime sei in rima alternata e le ultime due in rima baciata.

Le prive ottave dell’Orlando furioso fungono da proemio, il poeta introduce l’opera nominando ciò di cui parlerà e dei luoghi dove si svolgerà la sua storia.








Nella seconda ottava introduce il protagonista, affermando di essere intenzionato a dire   cose che non sono mai state scritte su di lui in altre opere;   si riferisce in  particolare  all’opera di Boiardo, l’Orlando innamorato.

Parla della sua follia d’amore che ha, poco a poco, consumato l’ingegno e nel contempo sovverte la convenzione dell'invocazione, rivolta non alla musa, ma alla donna di cui è innamorato, Alessandra Benucci.











In questa ottava Ariosto sì rivolge direttamente a  Ippolito d’Este, dedicatario dell'opera, il vescovo al cui servizio si trova per anni.

Ludovico vuole riappacificarsi con lui, dopo alcuni momenti di difficoltà, e cerca di farlo lodandolo e definendosi come il suo servitore.

Si sente in debito in quanto  aveva rinunciato a un incarico che  Ippolito avrebbe voluto affidargli,  per questo gli dedica attenzione all’interno dell’opera.








In questa ottava Ariosto continua quello che aveva iniziato nella precedente, ripercorre la stirpe di Ippolito e inserisce il motivo encomiastico, ovvero la lode dei suoi antenati. Non manca, negli ultimi versi, una sottile ironia nei riguardi sempre di Ippolito che, per potersi dedicare alla lettura del poema, deve trovare il modo di interrompere i suoi alti pensier.












Nella quinta ottava si introduce la guerra che il protagonista deve affrontare nei Pirenei, dopo essere tornato con la donna amata, da lui difesa con accanimento.













In questa ottava si spiega come mai è scoppiata la guerra tra i

re di Spagna e d’Africa, perché avevano esagerato e che tutti si pentirono di essere lì.













Alessandro, Giacomo

Versi

Prosa

Commento

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,

le cortesie, l’audaci imprese io canto,

che furo al tempo che passaro i Mori

d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,

seguendo l’ire e i giovenil furori

d’Agramante lor re, che si diè vanto

di vendicar la morte di Troiano

sopra re Carlo imperator romano.








2

Dirò d’Orlando in un medesmo tratto

cosa non detta in prosa mai, né in rima:

che per amor venne in furore e matto,

d’uom che sì saggio era stimato prima;

se da colei che tal quasi m’ha fatto,

che ‘l poco ingegno ad or ad or mi lima,

me ne sarà però tanto concesso,

che mi basti a finir quanto ho promesso.










3

Piacciavi, generosa Erculea prole,

ornamento e splendor del secol nostro,

Ippolito, aggradir questo che vuole

e darvi sol può l’umil servo vostro.

Quel ch’io vi debbo, posso di parole

pagare in parte e d’opera d’inchiostro;

né che poco io vi dia da imputar sono,

che quanto io posso dar, tutto vi dono.









4

Voi sentirete fra i più degni eroi,

che nominar con laude m’apparecchio,

ricordar quel Ruggier, che fu di voi

e de’ vostri avi illustri il ceppo vecchio.

L’alto valore e’ chiari gesti suoi

vi farò udir, se voi mi date orecchio,e vostri alti pensieri cedino un poco,

sì che tra lor miei versi abbiano loco.













[5] Orlando, che gran tempo innamorato

fu de la bella Angelica, e per lei

in India, in Media, in Tartaria lasciato

avea infiniti ed immortal trofei,

in Ponente con essa era tornato,

dove sotto i gran monti Pirenei

con la gente di Francia e de Lamagna

re Carlo era attendato alla campagna,









[6] per far al re Marsilio e al re Agramante

battersi ancor del folle ardir la guancia,

d’aver condotto, l’un, d’Africa quante

genti erano atte a portar spada e lancia;

l’altro, d’aver spinta la Spagna inante

a destruzion del bel regno di Francia.

E così Orlando arrivò quivi a punto:

ma tosto si pentì d’esservi giunto;










[7] Che vi fu tolta la sua donna poi:

ecco il giudicio uman come spesso erra!

Quella che dagli esperii ai liti eoi

avea difesa con sì lunga guerra,

or tolta gli è fra tanti amici suoi,

senza spada adoprar, ne la sua terra.

Il savio imperator, ch’estinguer volse

un grave incendio, fu che glilse.












[8] Nata pochi dì inanzi era una gara

tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,

che entrambi avean per la bellezza rara

d’amoroso disio l’animo caldo.

Carlo, che non avea tal lite cara,

che gli rendea l’aiuto lor men saldo,

questa donzella, che la causa n’era,

tolse, e diè in mano al duca di Bavera;











[9] in premio promettendola a quel d’essi,

ch’in quel conflitto, in quella gran giornata,

degli infideli più copia uccidessi,

e di sua man prestassi opra più grata.

Contrari ai voti poi furo i successi;

ch’in fuga andò la gente battezzata,

e con molti altri fu ’l duca prigione,

e restò abbandonato il padiglione.




Le donne, i cavalieri, le armi, gli amori, le corsie, le audaci imprese io canto, che furono al tempo in cui i Mori (mussulmani) superarono il mare d’Africa (lo stretto di Gibilterra) e fecero molti danni in Francia, seguendo le ire e i furori giovanili d’Agramante il loro re, che si diede vanto di vendicare la morte del padre Troiano contro Re Carlo l'imperatore dei romani. 




Allo stesso tempo dirò di Orlando cosa che non fu mai detta in prosa, né in rima: che per amore divenne furioso e matto, che prima era giudicato un uomo saggio; a patto che colei che mi ha quasi ridotto come lui, che poco a poco consuma il mio ingegno, me ne lasci abbastanza per concludere l’opera che ho promesso. 








Nobile figlio di Ercole, ornamento e splendore del nostro secolo, Ippolito, spero gradiate questo dono che vuole darvi il vostro più umile servo vostro. Quello che vi devo, posso ripagarlo in parte in parole e con un’opera letteraria; e non devo essere accusato di darvi poco, perché tutto quello che posso darvi, io vi do. 








Voi sentirete fra i più degni eroi, che a tessere le lodi mi preparo, ricordare quel Ruggiero che fu vostro e dei vostri avi illustri l’antenato. Il grande valore e le sue grandi gesta vi farò sentire, se voi mi presterete attenzione, e che i vostri pensieri cedano un po’, così che i miei versi trovino spazio.










Orlando che era da tempo innamorato della bella Angelica, e per lei in India, in Medio Oriente, in Tartaria aveva compiuto numerose imprese, in Occidente con lei era tornato, dove ai piedi dei Pirenei con Francesi e Tedeschi (Germanici per essere più corretti) re Carlo era accampato all’aperto, 






per far sì che il Re Marsilio e il re Agramante si pentissero per aver uno condotto tutti gli uomini d’Africa in grado di imbracciare le armi, e l’altro di aver spinto in Spagna (i Saraceni) per distruggere il bel regno di Francia,

E così Orlando arrivò al momento opportuno, ma se ne pentì subito;







Perché lì gli venne tolta la sua donna: ecco come il giudizio umano spesso sbaglia!

Quella donna che che dai lidi occidentali a quelli orientali aveva difeso con una così lunga guerra, ora gli viene portata via mentre è fra i suoi amici, senza poter utilizzar la spada e fuori dalla sua patria.  Il saggio imperatore che volle placare la contesa fu colui che gliela tolse. 








Pochi giorni prima era nata una lite tra il conte Orlando e suo cugino Rinaldo, che erano entrambi innamorati della rara bellezza. (d’Angelica). 

Carlo, a cui non era gradita tale lite, perché rendeva il loro aiuto meno saldo, questa donzella, che ne era la causa, diede in custodia al duca di Baviera,









 promettendola in dono a chi nella battaglia campale avesse ucciso il maggiorn numero di pagani e compiuto con la sua mano le opere più gradite. 

Ma gli eventi furono contrari alle speranze e i cristiani vennero messi in fuga, e insieme a molti altri il duca fu imprigionato, lasciando la tenda (di Angelica) incustodita.















 

La prima ottava contiene la protasi, ovvero  un’anticipazione sintetica di ciò che verrà trattato nel poema: un elenco di parole chiave disposte chiastica mente.










A questo punto Ariosto invoca la sua musa, la sua amata Alessandra Benucci, un amore clandestino, essendo lei già sposata e lui ricoprendo la carica di chierico al servizio del cardinale Ippolito d’Este.  












Andrea T., Martina

testo

parafrasi

commento

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l’ire e i giovenil furori
d’Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.
     Dirò d’Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai né in rima:
che per amor venne in furore e matto,
d’uom che sí saggio era stimato prima;
se da colei che tal quasi m’ha fatto,
che ’l poco ingegno ad or ad or mi lima,
me ne sará però tanto concesso,
che mi basti a finir quanto ho promesso.
     Piacciavi, generosa Erculea prole,
ornamento e splendor del secol nostro,
Ippolito, aggradir questo che vuole
e darvi sol può l’umil servo vostro.
Quel ch’io vi debbo, posso di parole
pagare in parte e d’opera d’inchiostro;
né che poco io vi dia da imputar sono,
che quanto io posso dar, tutto vi dono.
     Voi sentirete fra i piú degni eroi,
che nominar con laude m’apparecchio,
ricordar quel Ruggier, che fu di voi
e de’ vostri avi illustri il ceppo vecchio.
L’alto valore e’ chiari gesti suoi
vi farò udir, se voi mi date orecchio,
e vostri alti pensier cedino un poco,
sí che tra lor miei versi abbiano loco.
     Orlando, che gran tempo inamorato
fu de la bella Angelica, e per lei
in India, in Media, in Tartaria lasciato
avea infiniti et immortal trofei,
in Ponente con essa era tornato,
dove sotto i gran monti Pirenei
con la gente di Francia e de Lamagna
re Carlo era attendato alla campagna,
     per far al re Marsilio e al re Agramante
battersi ancor del folle ardir la guancia,
d’aver condotto, l’un, d’Africa quante
genti erano atte a portar spada e lancia;
l’altro, d’aver spinta la Spagna inante
a destruzion del bel regno di Francia.
E cosí Orlando arrivò quivi a punto:
ma tosto si pentí d’esservi giunto;
     che vi fu tolta la sua donna poi:
ecco il giudicio uman come spesso erra!
Quella che dagli esperii ai liti eoi
avea difesa con sí lunga guerra,
or tolta gli è fra tanti amici suoi,
senza spada adoprar, ne la sua terra.
Il savio imperator, ch’estinguer volse
un grave incendio, fu che gli la tolse.
     Nata pochi dí inanzi era una gara
tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,
che ambi avean per la bellezza rara
d’amoroso disio l’animo caldo.
Carlo, che non avea tal lite cara,
che gli rendea l’aiuto lor men saldo,
questa donzella, che la causa n’era,
tolse, e diè in mano al duca di Bavera;
     in premio promettendola a quel d’essi
ch’in quel conflitto, in quella gran giornata,
degli infideli piú copia uccidessi,
e di sua man prestassi opra piú grata.
Contrari ai voti poi furo i successi;
ch’in fuga andò la gente battezzata,
e con molti altri fu ’l duca prigione,
e restò abbandonato il padiglione.
     Dove, poi che rimase la donzella
ch’esser dovea del vincitor mercede,
inanzi al caso era salita in sella,
e quando bisognò le spalle diede,
presaga che quel giorno esser rubella
dovea Fortuna alla cristiana fede:
entrò in un bosco, e ne la stretta via
rincontrò un cavallier ch’a piè venía.
     Indosso la corazza, l’elmo in testa,
la spada al fianco, e in braccio avea lo scudo;
e piú leggier correa per la foresta,
ch’al pallio rosso il villan mezzo ignudo.
Timida pastorella mai sí presta
non volse piede inanzi a serpe crudo,
come Angelica tosto il freno torse,
che del guerrier, ch’a piè venía, s’accorse.

[p. 4 modifica]


12
     Era costui quel paladin gagliardo,
figliuol d’Amon, signor di Montalbano,
a cui pur dianzi il suo destrier Baiardo
per strano caso uscito era di mano.
Come alla donna egli drizzò lo sguardo,
riconobbe, quantunque di lontano,
l’angelico sembiante e quel bel volto
ch’all’amorose reti il tenea involto.

13
     La donna il palafreno a dietro volta,
e per la selva a tutta briglia il caccia;
né per la rara piú che per la folta,
la piú sicura e miglior via procaccia:
ma pallida, tremando, e di sé tolta,
lascia cura al destrier che la via faccia.
Di su di giú, ne l’alta selva fiera
tanto girò, che venne a una riviera.

14
     Su la riviera Ferraú trovosse
di sudor pieno e tutto polveroso.
Da la battaglia dianzi lo rimosse
un gran disio di bere e di riposo;
e poi, mal grado suo, quivi fermosse,
perché, de l’acqua ingordo e frettoloso,
l’elmo nel fiume si lasciò cadere,
né l’avea potuto anco riavere.

15
     Quanto potea piú forte, ne veniva
gridando la donzella ispaventata.
A quella voce salta in su la riva
il Saracino, e nel viso la guata;
e la conosce subito ch’arriva,
ben che di timor pallida e turbata,
e sien piú di che non n’udí novella,
che senza dubbio ell’è Angelica bella.

[p. 5 modifica]


16
     E perché era cortese, e n’avea forse
non men dei dui cugini il petto caldo,
l’aiuto che potea tutto le porse,
pur come avesse l’elmo, ardito e baldo:
trasse la spada, e minacciando corse
dove poco di lui temea Rinaldo.
Piú volte s’eran giá non pur veduti,
ma ’l paragon de l’arme conosciuti.

17
     Cominciâr quivi una crudel battaglia,
come a piè si trovâr, coi brandi ignudi:
non che le piastre e la minuta maglia,
ma ai colpi lor non reggerian gl’incudi.
Or, mentre l’un con l’altro si travaglia,
bisogna al palafren che ’l passo studi;
che quanto può menar de le calcagna,
colei lo caccia al bosco e alla campagna.

18
     Poi che s’affaticâr gran pezzo invano
i duo guerrier per por l’un l’altro sotto,
quando non meno era con l’arme in mano
questo di quel, né quel di questo dotto;
fu primiero il signor di Montalbano,
ch’al cavallier di Spagna fece motto,
sí come quel c’ha nel cor tanto fuoco,
che tutto n’arde e non ritrova loco.

19
     Disse al pagan: — Me sol creduto avrai,
e pur avrai te meco ancora offeso:
se questo avvien perché i fulgenti rai
del nuovo sol t’abbino il petto acceso,
di farmi qui tardar che guadagno hai?
che quando ancor tu m’abbi morto o preso,
non però tua la bella donna fia,
che, mentre noi tardian, se ne va via.

[p. 6 modifica]


20
     Quanto fia meglio, amandola tu ancora,
che tu le venga a traversar la strada,
a ritenerla e farle far dimora,
prima che piú lontana se ne vada!
Come l’avremo in potestate, allora
di ch’esser de’ si provi con la spada:
non so altrimenti, dopo un lungo affanno,
che possa riuscirci altro che danno. —

q

Delle donne, dei cavalieri, delle battaglie, degli amori,

degli atti di cortesia, delle audaci imprese io canto,

che ci furono ai tempi in cui gli Arabi

attraversarono il mare d’Africa, e arrecarono tanto

danno in Francia, seguendo le ire e i furori giovanili

del loro re Agramante, il quale si vantò

di poter vendicare la morte di Traiano

contro il re Carlo, imperatore romano.

Nello stesso tempo, racconterò di Orlando, in particolare di qualcosa che non è mai stata dette né in prosa né in

rima:

che per amore, divenne pazzo e furioso,

lui che prima era considerato uomo così saggio;

dirò queste cose se da parte di colei che mi ha quasi

reso tale

e che a poco a poco consuma il mio piccolo ingegno, me ne sarà concesso a sufficienza

che mi basti a finire l’opera che ho promesso.


3

Vi piaccia, generosa e nobile prole di Ercole I,

che siete ornamento e splendore del nostro tempo, spero di poter soddisfare Ippolito con il poema da lui voluto e a cui do solo quello che può donare un vostro umile servitore. Il mio debito nei vostri confronti, lo posso solo

pagare in parte con le mie parole ed opere scritte;

non mi si potrà accusare di darvi poco,

perché di quanto posso darvi, tutto vi dono. 


4

Voi mi sentirete ricordare fra i più valorosi eroi, che con lodevoli parole mi predispongo a citare;

di quel Ruggiero che fu il vostro e dei vostri nobili avi

capostipite.

se mi presterete ascolto, vi farò udire Il suo grande

valore e le sue imprese

e le vostre profonde preoccupazioni possano attenuarsi un poco,

in modo che tra loro i miei versi possano trovare uno spazio.


5

Orlando, che per molto tempo fu innamorato della bella Angelica, e che per lei in India (Asia meridionale), Media (nella zona centrale a sud del Mar Caspio) e in Tartaria riportò numerose imprese vittoriose, torna con lei in Occidente dove ai piedi dei monti dei Pirenei, con la gente di Francia e Germania, il re Carlo si trovava in campo aperto per far pentire amaramente il re Marsilio (figlio del re saraceno) e il re Agramante; l’uno (Agramante) per aver condotto dall’Africa genti con spade e lance e l’altro (Marsilio) per aver causato la distruzione della Francia per l’opera dei Saraceni di Spagna.

 

6

E così che Orlando arrivò nel momento opportuno; ma subito si pentì di essere giunto in questo luogo; perché qui gli fu tolta la donna: ecco dunque come spesso sbaglia il giudizio umano. Quella donna che dai lidi occidentali (dove appare la stella della sera ovvero Espero) e quelli orientali (dove sorge l’aurora ovvero Eos) aveva con lui difeso con una così lunga serie di battaglie, proprio ora che Orlando si trova tra tanti amici, senza la necessità di utilizzare la spada. Il saggio imperatore, che desiderava far cessare la guerra, fu colui che sottrasse a lui la donna.

Pochi giorni prima era nata una contesa tra il conte Orlando e suo cugino Rinaldo a causa dell’amore che, per la sua bellezza, la donna infondeva in entrambi.

Carlo, infastidito dalla lite che avrebbe infatti potuto causare un aiuto meno saldo, prese la donna, causa della contesa, e la consegnò al duca di Baviera promettendola come premio a colui che nella battaglia campale avesse ucciso il maggior numero di infedeli (pagani) e con la sua mano avesse fatto imprese più gradite. Ma gli eventi furono diversi rispetto alle speranze del re poiché i cristiani furono messi in fuga, il duca venne fatto prigioniero e la tenda (dove è prigioniera Angelica) restò incustodita. 


Rispetto alla struttura canonica che il proemio possiede nei poemi epici, Ariosto predispone un simile apparato strutturale. Viene presentato l’argomento del poema e dunque le contese tra mondo arabo e occidentale, in particolare dal momento in cui gli Arabi, attraversato il mare d’Africa, causarono numerosi danni ai Francesi e di come Agramante, re d’Africa, si vantò di poter vendicare la morte di Troiano contro il grande imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, Carlo. Segue una dedica all’amore e un’invocazione alle armi.

 L’amore è infatti l’altro argomento portante del poema. Si tratta in particolare di come Orlando divenne da innamorato a pazzo e pure furioso, condizione di cui Ariosto si serve per completare la struttura proemiale inserendo l’invocazione alla musa ispiratrice.

Si tratta di una variazione rispetto alla tradizionale invocazione alla divinità appartenente al Pantheon greco-romano. Ariosto cita la donna da lui segretamente amata, Alessandra Benucci, moglie del suo amico Tito Strozzi, e da lei spera che gli lasci sufficienti facoltà mentali da poter completare il poema.

Segue una dedica ai potenti signori estensi, e in particolare Ariosto rende omaggio al suo committente Ippolito, citando colui che fondò l’intera stirpe estense: Ruggiero (figlio di Ruggiero II di Risa e di Galaciella, figlia del re Agolante, convertitasi per amore al cristianesimo). Ariosto è desideroso di poter in questo modo appagare il suo signore, di poter ripagare la cortesie offerte da lui e placare un poco le sue preoccupazioni politico-militari, parlando di nobili eroi quali Ruggiero.

 

 

 

Il poeta si predispone ora a indugiare un poco sulla storia di Orlando, con quella che non deve essere confusa come una vera e propria prosecuzione del poema di Boiardo (L’Orlando Innamorato) in quanto, seppur ci sia una continuazione, questa è utilizzata fornire un pretesto a  Ariosto, che tratta le vicende della storia di Orlando come nessuno prima di lui fece mai.  





Alessandro Ga, Lorenzo

Testo 

Parafrasi

Commento

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto, che furo al tempo che passaro i Mori d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto, seguendo l’ire e i giovenil furori d’Agramante lor re, che si diè vanto di vendicar la morte di Troiano sopra re Carlo imperator romano.

Delle donne, dei cavalieri, delle battaglie, degli amori, degli atti di cortesia, delle audaci imprese io canto, che ci furono nel tempo in cui gli Arabi attraversarono il mare d’Africa, e arrecarono tanto danno in Francia, seguendo le ire e i furori giovanili del loro re Agramante, il quale si vantò
di poter vendicare la morte di Traiano contro il re Carlo, imperatore romano.

In questa ottava l’autore scrive dei successi del re Agramante, anche se questi hanno creato ingenti morti nell’esercito e nei posti occupati.

Dirò d’Orlando in un medesmo tratto cosa non detta in prosa mai, né in rima: che per amor venne in furore e matto, d’uom che sì saggio era stimato prima; se da colei che tal quasi m’ha fatto, che ’l poco ingegno ad or ad or mi lima, me ne sarà però tanto concesso, che mi basti a finir quanto ho promesso.

Nello stesso tempo, racconterò di Orlando cose che non sono state mai dette né in prosa né in rima: che per amore, divenne completamente folle, lui che prima era considerato uomo così saggio; dirò queste cose se da parte di colei che mi ha quasi reso tale e che a poco a poco consuma il mio piccolo ingegno, me ne sarà concesso a sufficienza (di ingegno) che mi basti a finire l’opera che ho promesso.

L’autore descrive come procederà nel testo, delineando un Orlando come nessuno ha mai fatto, concentrandosi maggiormente sul suo amore e sulla sua follia.

Piacciavi, generosa Erculea prole, ornamento e splendor del secol nostro, Ippolito, aggradir questo che vuole e darvi sol può l’umil servo vostro. Quel ch’io vi debbo, posso di parole pagare in parte e d’opera d’inchiostro; 

né che poco io vi dia da imputar sono, che quanto io posso dar, tutto vi dono.

Vi piaccia, generosa e nobile prole del [duca] Ercole I,
che siete ornamento e splendore del nostro tempo,
Ippolito, di gradire questo poema che vuole e darvi solo può il vostro umile servitore. Il mio debito nei vostri confronti, lo posso solo pagare in parte con le mie parole ed opere scritte; non mi si potrà accusare di darvi poco, perché io vi dono tutto quanto posso donarvi, non ho altro.


Voi sentirete fra i più degni eroi, che nominar con laude m’apparecchio, ricordar quel Ruggier, che fu di voi e de’ vostri avi illustri il ceppo vecchio. L’alto valore e’ chiari gesti suoi vi farò udir, se voi mi date orecchio, e vostri alti pensieri cedino un poco, sì che tra lor miei versi abbiano loco

Voi mi sentirete ricordare fra i più valorosi eroi, che mi appresto a citare lodandoli, di quel Ruggiero che fu il vostro e dei vostri nobili avi il capostipite. Il suo grande valore e le sue imprese vi farò udire se mi presterete ascolto; e ile vostre profonde preoccupazioni cedano un poco, in modo che tra loro i miei versi possano trovare spazio.

In questa ottava l’autore chiede di essere ascoltato nella narrazione delle grandi gesta di Ruggiero.

Orlando, che gran tempo innamorato fu de la bella Angelica, e per lei in India, in Media, in Tartaria lasciato avea infiniti ed immortal trofei, in Ponente con essa era tornato, dove sotto i gran monti Pirenei con la gente di Francia e de Lamagna re Carlo era attendato alla campagna,

Orlando, che per tanto tempo era stato innamorato
della bella Angelica e per lei in India, in Oriente, aveva lasciato trofei immortali ed in numero infinito, era tornato infine con la donna amata in Occidente dove, sotto gli alti monti Pirenei, con i Francesi ed i Tedeschi,
il re Carlo si era insediato in campo aperto

                                                                                       

per far al re Marsilio e al re Agramante battersi ancor del folle ardir la guancia, d’aver condotto, l’un, d’Africa quante genti erano atte a portar spada e lancia; l’altro, d’aver spinta la Spagna inante a destruzion del bel regno di Francia. E così Orlando arrivò quivi a punto: ma tosto si pentì d’esservi giunto

perché il re Marsilio ed il re Agramante si pentissero ancora una volte delle loro folli azioni; Agramante per avere condotto dall’Africa tante persone quanto erano in grado di portare spada e lancia, Marsilio per avere condotto la Spagna
nella distruzione del bel regno di Francia. E così Orlando arrivò sul posto al momento giusto, ma subito si pentì di esservi giunto.


Che vi fu tolta la sua donna poi: ecco il giudicio uman come spesso erra! Quella che dagli esperi ai liti eoi avea difesa con sì lunga guerra, or tolta gli è fra tanti amici suoi, senza spada adoprar, ne la sua terra. Il savio imperator, ch’estinguer volse un grave incendio, fu che gli la tolse.

Gli anche fu tolta la donna che amava: ecco come il giudizio umano spesso sbaglia! La donna che dalle coste Orientali a quelle Occidentali aveva difeso con una tanto lunga guerra,
ora gli viene tolta tra tanti suoi amici, senza che sia adoperata spada alcuna, sulla sua terra. Il saggio imperatore, con la volontà di estinguere un grave incendio (pericolosa contesa d’amore), fu a togliergliela.


Nata pochi dì inanzi era una gara tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo, che entrambi avean per la bellezza rara d’amoroso disio l’animo caldo. Carlo, che non avea tal lite cara, che gli rendea l’aiuto lor men saldo, questa donzella, che la causa n’era, tolse, e diè in mano al duca di Bavera;

Pochi giorni prima era infatti iniziato un conflitto tra il conte Orlando e suo cugino Rinaldo, poiché entrambi, per la rara bellezza di Angelica, avevano l’animo infiammato dal desiderio amoroso. Carlo non vedeva di buon occhio tale lite,
che poteva mettere in dubbio il loro aiuto, questa fanciulla (Angelica), che ne era la causa, prese e consegno nelle mani del duca Namo di Baviera;


in premio promettendola a quel d’essi, ch’in quel conflitto, in quella gran giornata, degl’infideli più copia uccidessi, e di sua man prestasse opra più grata. Contrari ai voti poi furo i successi; ch’in fuga andò la gente battezzata e con molti altri fu ’l duca prigione, e restò abbandonato il padiglione

promettendola in premio a chi dei due, nell’imminente conflitto, in quella battaglia campale,
avesse ucciso il maggior numero di infedeli, e con la sua mano avesse quindi reso maggior servizio.
Gli eventi fecero però venire meno le promesse; perché i cristiani dovettero ritirarsi, insieme a molti altri, il duca Namo fu fatto prigioniero e la sua tenda rimase vuota (Angelica rimase incustodita).




















Stefano, Davide

CANTO

PARAFRASI


1

Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,

le cortesie, l’audaci imprese io canto,

che furo al tempo che passaro i Mori

d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,

seguendo l’ire e i giovenil furori

d’Agramante lor re, che si diè vanto

di vendicar la morte di Troiano

sopra re Carlo imperator romano.



2

Dirò d’Orlando in un medesmo tratto

cosa non detta in prosa mai né in rima:

che per amor venne in furore e matto,

d’uom che sí saggio era stimato prima;

se da colei che tal quasi m’ha fatto,

che ’l poco ingegno ad or ad or mi lima,

me ne sará però tanto concesso,

che mi basti a finir quanto ho promesso.



3

Piacciavi, generosa Erculea prole,

ornamento e splendor del secol nostro,

Ippolito, aggradir questo che vuole

e darvi sol può l’umil servo vostro.

Quel ch’io vi debbo, posso di parole

pagare in parte e d’opera d’inchiostro;

né che poco io vi dia da imputar sono,

che quanto io posso dar, tutto vi dono.



4

Voi sentirete fra i piú degni eroi,

che nominar con laude m’apparecchio,

ricordar quel Ruggier, che fu di voi

e de’ vostri avi illustri il ceppo vecchio.

L’alto valore e’ chiari gesti suoi

vi farò udir, se voi mi date orecchio,

e vostri alti pensier cedino un poco,

sí che tra lor miei versi abbiano loco.


5

 Orlando, che gran tempo inamorato

fu de la bella Angelica, e per lei

in India, in Media, in Tartaria lasciato

avea infiniti et immortal trofei,

in Ponente con essa era tornato,

dove sotto i gran monti Pirenei

con la gente di Francia e de Lamagna

re Carlo era attendato alla campagna,


6

per far al re Marsilio e al re Agramante

battersi ancor del folle ardir la guancia,

d’aver condotto, l’un, d’Africa quante

genti erano atte a portar spada e lancia;

l’altro, d’aver spinta la Spagna inante

a destruzion del bel regno di Francia.

E cosí Orlando arrivò quivi a punto:

ma tosto si pentí d’esservi giunto;


7

che vi fu tolta la sua donna poi:

ecco il giudicio uman come spesso erra!

Quella che dagli esperii ai liti eoi

avea difesa con sí lunga guerra,

or tolta gli è fra tanti amici suoi,

senza spada adoprar, ne la sua terra.

Il savio imperator, ch’estinguer volse

un grave incendio, fu che gli la tolse.



8

Nata pochi dí inanzi era una gara

tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,

che ambi avean per la bellezza rara

d’amoroso disio l’animo caldo.

Carlo, che non avea tal lite cara,

che gli rendea l’aiuto lor men saldo,

questa donzella, che la causa n’era,

tolse, e diè in mano al duca di Bavera;


9

     in premio promettendola a quel d’essi

ch’in quel conflitto, in quella gran giornata,

degli infideli piú copia uccidessi,

e di sua man prestassi opra piú grata.

Contrari ai voti poi furo i successi;

ch’in fuga andò la gente battezzata,

e con molti altri fu ’l duca prigione,

e restò abbandonato il padiglione.


9

     in premio promettendola a quel d’essi

ch’in quel conflitto, in quella gran giornata,

degli infideli piú copia uccidessi,

e di sua man prestassi opra piú grata.

Contrari ai voti poi furo i successi;

ch’in fuga andò la gente battezzata,

e con molti altri fu ’l duca prigione,

e restò abbandonato il padiglione.


10

     Dove, poi che rimase la donzella

ch’esser dovea del vincitor mercede,

inanzi al caso era salita in sella,

e quando bisognò le spalle diede,

presaga che quel giorno esser rubella

dovea Fortuna alla cristiana fede:

entrò in un bosco, e ne la stretta via

rincontrò un cavallier ch’a piè venía.


1

Delle donne, dei cavalieri, delle battaglie, degli amori,

degli atti di cortesia, delle audaci imprese io parlo,

che ci furono nel tempo in cui i mori

attraversarono il mare dell’Africa e rimanerono tanto danno in Francia seguendo le ire

del loro re Agramante, che si vantò

di aver la possibilità di vendicare la morte di Traiano contro l’imperatore romano Carlo.


2

Nello stesso tempo, parlerò di Orlando

di cose che non sono state mai dette né in prosa né in rima:

che per amore, diventò completamente folle,

prima era considerato un uomo così saggio;

dirò queste cose se da parte di colei che mi ha quasi reso tale

e che a poco a poco consuma il mio ingegno,

me ne sarà concesso abbastanza

che mi basti per finire l’opera che ho promesso.



3

Generosa e nobile prole di Ercole I,

che siete ornamento e splendore del nostro tempo,

Ippolito, vuole che gradiate questo poema che può darvi solo questo il vostro umile servitore.

Il mio debito nei vostri confronti, lo posso solo

pagare in parte con le mie parole e le mie opere scritte;

non mi si potrà accusare di darvi poco,

perché io vi dono tutto quello che posso donarvi, non ho altro.


4

Voi mi sentirete ricordare fra i più valorosi eroi,

che mi appresto a citare lodandoli,

di quel Ruggiero che fu il vostro

e dei vostri nobili avi il capostipite.

Vi parlerò del suo grande valore e le sue imprese

se mi presterete ascolto;

e le vostre preoccupazioni cedano un po,

in modo che tra loro i miei versi possano trovare spazio tra esse.


5

Orlando, che per tanto tempo era stato innamorato

della bella Angelica e per lei

in India, in Oriente, aveva lasciato

trofei immortali ed in numero infinito,

era tornato infine con la donna amata in Occidente

dove, sotto gli alti monti Pirenei,

con i Francesi ed i Tedeschi,

il re Carlo si era insediato in campo aperto


6

perché il re Marsilio ed il re Agramante

si pentissero ancora una volte delle loro folli azioni;

Agramante per avere condotto dall’Africa tante

persone quanto erano in grado di portare spada e lancia,

Marsilio per avere condotto la Spagna

nella distruzione del bel regno di Francia.

E così Orlando arrivò sul posto al momento giusto,

ma subito si pentì di esservi giunto.


7

Gli anche fu tolta la donna che amava:

ecco come il giudizio umano spesso sbaglia!

La donna che dalle coste Orientali a quelle Occidentali

aveva difeso con una tanto lunga guerra,

ora gli viene tolta tra tanti suoi amici,

senza che sia adoperata spada alcuna, sulla sua terra.

Il saggio imperatore, con la volontà di estinguere

un grave incendio (pericolosa contesa d’amore), fu a togliergliela.


8

Pochi giorni prima era infatti iniziato un conflitto

tra il conte Orlando e suo cugino Rinaldo,

poiché entrambi, per la rara bellezza di Angelica,

avevano l’animo infiammato dal desiderio amoroso.

Carlo non vedeva di buon occhio tale lite,

che poteva mettere in dubbio il loro aiuto,

questa fanciulla (Angelica), che ne era la causa,

prese e consegno nelle mani del duca Namo di Baviera;


9

promettendola in premio a chi dei due,

nell’imminente conflitto, in quella battaglia campale,

avesse ucciso il maggior numero di infedeli,

e con la sua mano avesse quindi reso maggior servizio.

Gli eventi fecero però venire meno le promesse;

perché i cristiani dovettero ritirarsi,

insieme a molti altri, il duca Namo fu fatto prigioniero

e la sua tenda rimase vuota (Angelica rimase incustodita).


10

Rimasta sola nella tenda, la donzella,

che avrebbe dovuto essere la ricompensa del vincitore,

visto l’andamento degli eventi, salì in sella ad un cavallo

e ad momento opportuno scappò,

avuto presagio che, quel giorno, avversa

alla fede cristiana sarebbe stata la fortuna.

Entrò in un bosco e per lo stretto sentiero

incontrò un cavaliere che avanzava a piedi.



Il canto inizia con il proemio secondo la classica struttura. Sono ravvisabili tre elementi: l'esposizione dell'argomento, l'invocazione alla Musa e la dedica. 












Successivamente, Ariosto spiega che durante il poema parlerà di cose nuove di Orlando, che nessuno ha mai trattato. Per parlarne sfrutterà quel poco ingegno che gli rimane, essendo molto innamorato, a sua volta, di Alessandra Benucci.













Ariosto elogia la prole di Ercole I, ossia la casata d'Este nella persona di Ippolito, al cui servizio si trova ancora, dedicandogli espressamente il poema.









Ariosto anticipa al lettore che, per chi vorrà ascoltare, nel corso del poema ci saranno delle citazioni di alcuni eroi che verranno lodati (Ruggiero), verranno ricordate le loro imprese e il loro valore.




Andrea C., Raffaele

Versi

 

1
     Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l’ire e i giovenil furori
d’Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.

2
     Dirò d’Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai né in rima:
che per amor venne in furore e matto,
d’uom che sí saggio era stimato prima;
se da colei che tal quasi m’ha fatto,
che ’l poco ingegno ad or ad or mi lima,
me ne sará però tanto concesso,
che mi basti a finir quanto ho promesso.

3
     Piacciavi, generosa Erculea prole,
ornamento e splendor del secol nostro,
Ippolito, aggradir questo che vuole
e darvi sol può l’umil servo vostro.
Quel ch’io vi debbo, posso di parole
pagare in parte e d’opera d’inchiostro;
né che poco io vi dia da imputar sono,
che quanto io posso dar, tutto vi dono.



4
     Voi sentirete fra i piú degni eroi,
che nominar con laude m’apparecchio,
ricordar quel Ruggier, che fu di voi
e de’ vostri avi illustri il ceppo vecchio.
L’alto valore e’ chiari gesti suoi
vi farò udir, se voi mi date orecchio,
e vostri alti pensier cedino un poco,
sí che tra lor miei versi abbiano loco.

5
     Orlando, che gran tempo inamorato
fu de la bella Angelica, e per lei
in India, in Media, in Tartaria lasciato
avea infiniti et immortal trofei,
in Ponente con essa era tornato,
dove sotto i gran monti Pirenei
con la gente di Francia e de Lamagna
re Carlo era attendato alla campagna,

6
     per far al re Marsilio e al re Agramante
battersi ancor del folle ardir la guancia,
d’aver condotto, l’un, d’Africa quante
genti erano atte a portar spada e lancia;
l’altro, d’aver spinta la Spagna inante
a destruzion del bel regno di Francia.
E cosí Orlando arrivò quivi a punto:
ma tosto si pentí d’esservi giunto;

7
     che vi fu tolta la sua donna poi:
ecco il giudicio uman come spesso erra!
Quella che dagli esperii ai liti eoi
avea difesa con sí lunga guerra,
or tolta gli è fra tanti amici suoi,
senza spada adoprar, ne la sua terra.
Il savio imperator, ch’estinguer volse
un grave incendio, fu che gli la tolse.

[p. 3 modifica]


8
     Nata pochi dí inanzi era una gara
tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,
che ambi avean per la bellezza rara
d’amoroso disio l’animo caldo.
Carlo, che non avea tal lite cara,
che gli rendea l’aiuto lor men saldo,
questa donzella, che la causa n’era,
tolse, e diè in mano al duca di Bavera;

9
     in premio promettendola a quel d’essi
ch’in quel conflitto, in quella gran giornata,
degli infideli piú copia uccidessi,
e di sua man prestassi opra piú grata.
Contrari ai voti poi furo i successi;
ch’in fuga andò la gente battezzata,
e con molti altri fu ’l duca prigione,
e restò abbandonato il padiglione.


 

 

 

 

 

 

10
     Dove, poi che rimase la donzella
ch’esser dovea del vincitor mercede,
inanzi al caso era salita in sella,
e quando bisognò le spalle diede,
presaga che quel giorno esser rubella
dovea Fortuna alla cristiana fede:
entrò in un bosco, e ne la stretta via
rincontrò un cavallier ch’a piè venía.

11
     Indosso la corazza, l’elmo in testa,
la spada al fianco, e in braccio avea lo scudo;
e piú leggier correa per la foresta,
ch’al pallio rosso il villan mezzo ignudo.
Timida pastorella mai sí presta
non volse piede inanzi a serpe crudo,
come Angelica tosto il freno torse,
che del guerrier, ch’a piè venía, s’accorse.

[p. 4 modifica]

 


12
     Era costui quel paladin gagliardo,
figliuol d’Amon, signor di Montalbano,
a cui pur dianzi il suo destrier Baiardo
per strano caso uscito era di mano.
Come alla donna egli drizzò lo sguardo,
riconobbe, quantunque di lontano,
l’angelico sembiante e quel bel volto
ch’all’amorose reti il tenea involto.

13
     La donna il palafreno a dietro volta,
e per la selva a tutta briglia il caccia;
né per la rara piú che per la folta,
la piú sicura e miglior via procaccia:
ma pallida, tremando, e di sé tolta,
lascia cura al destrier che la via faccia.
Di su di giú, ne l’alta selva fiera
tanto girò, che venne a una riviera.

14
     Su la riviera Ferraú trovosse
di sudor pieno e tutto polveroso.
Da la battaglia dianzi lo rimosse
un gran disio di bere e di riposo;
e poi, mal grado suo, quivi fermosse,
perché, de l’acqua ingordo e frettoloso,
l’elmo nel fiume si lasciò cadere,
né l’avea potuto anco riavere.

15
     Quanto potea piú forte, ne veniva
gridando la donzella ispaventata.
A quella voce salta in su la riva
il Saracino, e nel viso la guata;
e la conosce subito ch’arriva,
ben che di timor pallida e turbata,
e sien piú di che non n’udí novella,
che senza dubbio ell’è Angelica bella.

[p. 5 modifica]


16
     E perché era cortese, e n’avea forse
non men dei dui cugini il petto caldo,
l’aiuto che potea tutto le porse,
pur come avesse l’elmo, ardito e baldo:
trasse la spada, e minacciando corse
dove poco di lui temea Rinaldo.
Piú volte s’eran giá non pur veduti,
ma ’l paragon de l’arme conosciuti.

17
     Cominciâr quivi una crudel battaglia,
come a piè si trovâr, coi brandi ignudi:
non che le piastre e la minuta maglia,
ma ai colpi lor non reggerian gl’incudi.
Or, mentre l’un con l’altro si travaglia,
bisogna al palafren che ’l passo studi;
che quanto può menar de le calcagna,
colei lo caccia al bosco e alla campagna.

18
     Poi che s’affaticâr gran pezzo invano
i duo guerrier per por l’un l’altro sotto,
quando non meno era con l’arme in mano
questo di quel, né quel di questo dotto;
fu primiero il signor di Montalbano,
ch’al cavallier di Spagna fece motto,
sí come quel c’ha nel cor tanto fuoco,
che tutto n’arde e non ritrova loco.

19
     Disse al pagan: — Me sol creduto avrai,
e pur avrai te meco ancora offeso:
se questo avvien perché i fulgenti rai
del nuovo sol t’abbino il petto acceso,
di farmi qui tardar che guadagno hai?
che quando ancor tu m’abbi morto o preso,
non però tua la bella donna fia,
che, mentre noi tardian, se ne va via.

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20
     Quanto fia meglio, amandola tu ancora,
che tu le venga a traversar la strada,
a ritenerla e farle far dimora,
prima che piú lontana se ne vada!
Come l’avremo in potestate, allora
di ch’esser de’ si provi con la spada:
non so altrimenti, dopo un lungo affanno,
che possa riuscirci altro che danno. —


Parafrasi


1

Delle donne, dei cavalieri, delle armi, degli amori,

delle vicende che avvengono in corte e delle audaci imprese io canto,

quelle che avvennero quando gli Arabi

passarono il mare d’Africa e nocquero alla Francia,

seguendo le ire e i furori giovanili

del loro re Agramante, che si vanta

di poter vendicare la morte di Troiano

contro il re Carlo, l’imperatore romane


2

Nello stesso tempo, racconterò di Orlando
cose che non sono state mai dette né in prosa né in rima:
che per amore divenne completamente folle,
un uomo che prima era saggio e stimato;
sempre che a me rimanga ingegno sufficiente per finire ciò che ho promesso, dal momento che mi è quasi capitato quello che è successo a Orlando (ossia impazzire per amore di colei, Alessandra Benucci)






3

Vi piaccia, generosa prole di Ercole,
che siete ornamento e splendore del nostro tempo,
Ippolito, di gradire questo poema che vuole
e darvi solo può il vostro umile servitore.
Il mio debito nei vostri confronti, lo posso solo
pagare in parte con le mie parole ed opere scritte;
non mi si potrà accusare di darvi poco,
perché io vi dono tutto quanto posso donarvi, non ho altro.




4

Voi mi sentirete nominare tra i più degni eroi,
che mi accingo a citare e  lodare,
di quel Ruggiero che fu il vostro
e dei vostri illustri avi il capostipite.
Il suo grande valore e le sue gesta
vi farò udire se mi prestate ascolto;
e i vostri pensieri dubbiosi  cedano un poco,
in modo che tra loro i miei versi possano trovare posto.







5

Orlando, che da molto tempo era innamorato

della bella Angelica e che per lei 

in India, a Media, in Tartaria aveva

ucciso molte persone,

era alla fine tornato con lei,

dove, sotto gli alti monti Pirenei

con francesi e tedeschi

re Carlo si era accampato






6

perché il re Marsilio ed il re Agramante

si pentissero ancora una volte delle loro folli azioni;

l’uno per aver condotto dall’Africa

tante persone quante erano capaci di combattere con spada e lancia;

 l’altro, d’aver spinto la spagna 

alla distruzione del regno di Francia.

E così Orlando arrivò sul posto al momento giusto,

ma subito si pentì di esservi giunto.





7

Gli fu tolta la donna che amava:

ecco come il giudizio umano spesso sbaglia!

Quella che dalle coste Orientali a quelle Occidentali

aveva difeso con una così lunga guerra,

ora gli viene tolta tra tanti suoi amici,

senza che sia adoperata spada alcuna, sulla sua terra.

Il saggio imperatore, con la volontà di estinguere

un grave incendio, fu a togliergliela.


8

Una gara era nata pochi giorni prima

tra il conte Orlando e suo cugino Rinaldo,

perché entrambi, per la rara bellezza di Angelica,

avevano l’animo infiammato dal desiderio amoroso.

Carlo non vedeva di buon occhio tale lite,

che poteva mettere in dubbio il loro aiuto,

questa fanciulla, che ne era la causa,

prese e consegno nelle mani del duca Namo di Baviera;







9

promettendola in premio a chi dei due,

nell’imminente conflitto, in quella gran giornata,

avesse ucciso il maggior numero di infedeli,

e con la sua mano avesse quindi reso maggior servizio.

Gli eventi fecero però venire meno le promesse;

perché i cristiani dovettero ritirarsi,

insieme a molti altri, il duca Namo fu fatto prigioniero

e la sua tenda rimase vuota









 

10
Dove rimase la donzella,
che avrebbe dovuto essere la ricompensa del vincitore,
salì in sella ad un cavallo
e in un momento opportuno scappò,
avuto presagio che, quel giorno, la fortuna                                                                                 non sarebbe stata dalla parte della fede cristiana.                                                                                              Entrò in un bosco e per lo stretto sentiero
incontrò un cavaliere che avanzava a piedi.

 

 

11
Con addosso la corazza, in testa l’elmo,
al fianco la spada ed al braccio lo scudo,
correva per la foresta più leggero
di un villano mezzo nudo in una gara di corsa.
Una timida pastorella mai così rapidamente
sottrasse il piede dal morso di un serpente letale,
quanto rapidamente Angelica tirò le redini per cambiare direzione
non appena si accorse del guerriero che si avvicinava a piedi.

 











12
Era lui quel paladino gagliardo,
figlio di Amone, signore di Montalbano,
al quale poco prima il proprio destriero
per uno strano caso era fuggito di mano.
Non appena posò lo sguardo sulla donna,
riconobbe, nonostante fosse lontana,
l’angelica figura ed il bel volto
che lo avevano avvolto nelle reti dell’amore.

 

 






13
La donna volta indietro il cavallo
e per il bosco lo lancia in corsa a briglia sciolta;
passando per lo più da zone più rade che per la fitta boscaglia
non va cercando la via migliore e più sicura,
perché pallida, tremante, e fuori di sé,
lascia che sia il cavallo a frare strada
L’animale da ogni parte, nell’inospitale foresta,
tanto vagò che infine giunse alla riva di un fiume.

14
In riva al fiume trovò Ferraù
tutto impolverato e sudato.
Poco prima lo aveva tolto dalla battaglia
una grande desiderio di bere di riposarsi;
e poi, contro la sua volontà, lì si dovette fermare ,
perché, nella fretta di bere,
lasciò cadere nel fiume il proprio elmo
ed ancora non era riuscito a ritrovarlo.

 

 

 

15
Si avvicinava urlando più forte possibile alla donzella spaventata.

Sentendo quella voce, il Saracino salta sulla riva,
la guarda attentamente in viso,
e subito riconosce che chi sta arrivando,
nonostante fosse pallida e turbata 

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