TABELLE I CANTO DEL PURGATORIO
Andrea C., Raffaele, Canto I, Purgatorio, vv. 1-18
Per correr miglior acque alza le vele omai la navicella del mio ingegno, che lascia dietro a sé mar sì crudele;3
e canterò di quel secondo regno dove l’umano spirito si purga e di salire al ciel diventa degno.6
o sante Muse, poi che vostro sono; e qui Calïopè alquanto surga,9
di cui le Piche misere sentiro lo colpo tal, che disperar perdono.12
che s’accoglieva nel sereno aspetto del mezzo, puro infino al primo giro,15
tosto ch’io usci’ fuor de l’aura morta che m’avea contristati li occhi e ’l petto. |
La navicella del mio
ingegno, ormai, alza le vele per percorrere acque migliori e lascia dietro di
sé il mare così crudele dell’inferno; e canterò di quel secondo regno dove lo spirito umano si purifica e
diventa degno di salire al cielo.
Ma qui la poesia dei morti (due volge) risorga, o sante muse, poiché sono
dedito a voi; e qui anche Calliope (musa della poesia epica) contribuisca a
innalzare il mio canto,
assistendolo con quel suono di cui le misere Piche, le Pieridi, sentirono un tale colpo che disperarono di
essere perdonate.
Un dolce colore di zaffiro orientale, visibile nell'aspetto sereno
dell'aria pura fino all'orizzonte,
restituì gioia ai miei occhi non appena uscii fuori dalla mefitica aria
infernale, che mi aveva rattristato gli occhi e il cuore. |
L’incipit con cui Dante decide di descrivere
l’uscita dall’inferno, nonché l’arrivo al purgatorio, segna un notevole
stacco rispetto alla conclusione della cantica precedente. Il poeta canta
infatti del suo arrivo in purgatorio facendo largo utilizzo di splendidi
elementi naturali, rendendo l’insieme lirico ed elegiaco. A valorizzare maggiormente
la bellezza di questo paesaggio, nella quinta terzina il ricorso alla
sinestesia (figura retorica che connette due parole risalenti a due sfere
sensoriali diverse, di cui l’esempio probabilmente più famoso è il verso chiare fresche et dolci acque di
Petrarca), per trasmettere al lettore lo splendore della serena aria che lo
circondava e al contempo l’effetto rasserenante sul suo spirito. Sin dalla prima terzina possiamo notare la presenza
di una figura retorica molto ricorrente
nel poema dantesco, la metafora, grazie alla quale Dante evidenzia la
dominanza del tema del viaggio nella sua opera: l’inferno è denominato mare crudele e il suo ingegno navicella. Nella seconda terzina viene
poi nominato per la prima volta il purgatorio, un “territorio” alla cui
precisa delineazione Dante dà un
contributo fondamentale, basandosi su idee di “purgatori primitivi” rintracciabili
in tante fonti di epoche e latitudini
differenti, che lo storico Jacques Le Goff ha contribuito nel Novecento a rintracciare
e repertoriare. Questo terzo regno, per quanto riguarda
Dante, risulta concepito per dare la possibilità alle anime di purificarsi e
di rendersi degne del paradiso, approdo finale, nonché senso, del viaggio. Nella quinta terzina Dante inizia l’invocazione
canonica (prevista nei proemi), in quanto chiede di essere accompagnato nel suo canto
dalle muse, in particolare da Calliope. Il poeta coglie l’occasione per
evocare un episodio mitico, cantato anche da Ovidio nelle sue Metamorfosi¸ovvero quello in cui le Muse vengono sfidate nel canto dalle
figlie del re di Tessaglia Pierio, le
quali, perdendo la competizione, vennero trasformate in gazze (Piche) e
dubitarono di poter essere mai perdonate. Nel confronto con l’inferno, da cui l'agens è appena, un po' funambolicamente, uscito, l’ambientazione
del purgatorio appare già idilliaca,
ma certo non può da sola cancellare
dalla memoria recente di Dante l’orrore vissuto nel primo regno. Questo si può constatare sia dalla prima terzina,
in cui Dante sdegnosamente denomina l’inferno crudele mare, sia dalla
sesta, in cui esprime con sofferenza
le sensazioni che gli provocano i ricordi di esso, in particolare di quell’aura morta che circonda anime definitivamente separate da Dio e, in quanto
tali, destinate alla sofferenza eterna riservata a chi, dannandosi, è morto per due volte, nel corpo e nell’anima.
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Martina, Camilla, Canto I, Purgatorio, vv. 19-39
Versi (19-39) |
Versione in prosa |
Commento |
Lo bel pianeto che d’amar conforta faceva tutto rider l’orïente, velando i Pesci ch’erano in sua scorta.21
a l’altro polo, e vidi quattro stelle non viste mai fuor ch’a la prima gente.24
Goder pareva ’l ciel di lor fiammelle: oh settentrïonal vedovo sito, poi che privato se’ di mirar quelle!27
Com’io da loro sguardo fui partito, un poco me volgendo a l’altro polo, là onde ’l Carro già era sparito,30
vidi presso di me un veglio solo, degno di tanta reverenza in vista, che più non dee a padre alcun figliuolo.33
Lunga la barba e di pel bianco mista portava, a’ suoi capelli simigliante, de’ quai cadeva al petto doppia lista.36
Li raggi de le quattro luci sante fregiavan sì la sua faccia di lume, ch’i’ ’l vedea come ’l sol fosse davante.39 |
Il bel pianeta (Venere) che induce ad amare, rendeva serena la regione
orientale del cielo, coprendo la costellazione dei Pesci che lo
seguiva.
Il cielo sembrava risplendere grazie a queste luci: Oh emisfero boreale,
come sei vuoto, dal momento che non ti è concesso vedere queste stelle.
Come io dopo questa visione voltai lo sguardo, all’altro polo là dove la costellazione dell’Orsa Maggiore (Carro) era già tramontata,
Vidi vicino a me un vecchio solo, degno, a guardarlo, di tanta
reverenza, come quella che deve avere il figlio per il padre. Aveva una lunga e brizzolata barba, simile ai suoi capelli, che
cadevano sul petto in due bande.
I raggi delle quattro stelle sante illuminavano la sua faccia al punto
che sembrava che il sole gli fosse davanti. |
L’Auctor si sofferma sulla descrizione del paesaggio completamente nuovo in cui si
trovano i due viatores. Il primo rilievo è di tipo astronomico: si tratta della descrizione del
pianeta Venere e di come la sua luce illumini la Terra nell’emisfero
australe. Passando ad un livello simbolico, la luce di Venere può ben essere quella
luce necessaria per il proseguimento del viaggio. Venere è il pianeta che
simbolicamente viene accostato all’amore (d’amar conforta) e, come
viene spesso proposto anche in poesia (da quella latina, con Lucrezio e il suo Inno a Venere) e nelle arti figurative, rappresenta la rinascita ovvero la primavera. Procede poi la
descrizione del cielo. Si tratta ora di indicare le costellazioni visibili
e quelle già tramontate o non più visibili (costellazioni dei Pesci e del
Carro). La volta celeste è inoltre illuminata da quelle quattro
stelle che furono viste dagli abitanti dell’Eden Adamo ed Eva (prima
gente) e da allora mai più da persona viva, ad eccezione ora dall’Agens.
Questo ulteriore riferimento topografico esplicita la collocazione
originaria del Paradiso Terrestre, sulla cima del monte del Purgatorio: lì si trova il Giardino del paradiso terrestre, sorta di anticipazione del
paradiso che invece circonda la Terra. Le quattro stelle rappresentano allegoricamente le quattro virtù
cardinali (fortitudo, iustitia, prudentia, temperantia) più volte
richiamate nel corso della Commedia, quasi come se ogni tanto l’Acutor,
con lui l’Agens, abbia bisogno di ricevere un’esortazione, e una rassicurazione, per la
prosecuzione del suo viaggio. Dante si trova con il suo corpo
nello stesso emisfero che l'Ulisse del XXVI aveva fugacemente percorso per
intravvedere appunto il monte del purgatorio. Prima lo stupore alla vista del Monte e
poi subito il dolore segnato dal triste epilogo (come altrui piacque). Ricorrendo ad un'apostrofe (oh settentrïonal vedovo sito), l’Auctor
enfatizza la differente toponomastica dei due emisferi (agli antipodi l’uno dell'altro) nonché l’inevitabile privilegio di poter vedere certe
stelle (fiammelle) posseduto esclusivamente dall’emisfero
australe. A tal proposito è bene sottolineare come la presenza di fiammelle nel cielo possa portare l’analisi allegorica verso due strade distinte. Da un lato può ben essere che con le fiammelle Dante stia proponendo un’intertestualità con il XXVI, che in effetti risuona molto nel corso dell’intero canto (più tardi la figura di Ulisse emerge indirettamente con riferimenti a dettagli paesaggistici della spiaggia del Purgatorio). Spicca immediatamente il contrasto tra il differente significato, nonché ruolo, che hanno le luci scaturite dalle fiammelle: i bagliori che splendono nell’VIII Bolgia segnano il luogo nel quale si consuma per l’eternità la dannazione delle anime; la luce alle pendici del monte del Purgatorio è invece del tutto positiva. Queste stelle (fiammelle) splendono nel cielo, permettono l’orientamento e sono accostabili alla rappresentazione allegorica delle quattro virtù cardinali. Il secondo seme, che forse qui l’Auctor ha appena predisposto nella cantica Purgatorio, è il riferimento al fuoco, elemento che ricorre spesso nell’intera cantica, assumendo un carattere di tipo purificatorio. Improvvisamente l’Agens si imbatte nella figura di un veglio
solo, sorta di guardiano del luogo e degno di tanta reverenza. Il Veglio
solo è Catone l’Uticense, politico e difensore della res publica
all’epoca dell’imperatore Cesare (primo,
in effetti, secondo la tradizione degli storici antichi, anche se non più
secondo la nostra), descritto qui dall’auctor con barba lunga e
brizzolata. L’auctor nobilita il personaggio attraverso una precisa descrizione che ricorda,
ma in maniera antitetica, il guardiano Caronte, nocchiero conosciuto nel
baratro infernale. L’intertestualità antitetica si presenta nella modalità con cui Dante presenta i due guardiani: la figura di Catone, alle pendici del monte Purgatorio, è nobilitata con il suo aspetto da vecchio saggio, il traghettatore Caronte, viceversa, non è niente di più che una figura demoniaca degradata in maniera sublime. L’unico aspetto che i due guardiani condividono è il loro atteggiamento imperioso e diretto. Catone appare dinnanzi a Dante improvvisamente, come una sorta di icona illuminata proprio da quelle quattro stelle che metaforicamente alludono alle quattro virtù cardinali le quali, solo quando saranno legate alle tre virtù teologali, permetteranno l’accesso al Paradiso. |
Stefano, Davide, Canto I Purgatorio, vv. 40-59
TESTO |
PROSA |
ANALISI/COMMENTO |
"Chi siete voi che contro al cieco fiume fuggita avete la pregione etterna?", diss’el, movendo quelle oneste piume.
"Chi v’ ha guidati, o che vi fu lucerna, uscendo fuor de la profonda notte che sempre nera fa la valle inferna?
Son le leggi d’abisso così rotte? o è mutato in ciel novo consiglio, che, dannati, venite a le mie grotte?".
Lo duca mio allor mi diè di piglio, e con parole e con mani e con cenni reverenti mi fé le gambe e ’l ciglio.
Poscia rispuose lui: "Da me non venni: donna scese del ciel, per li cui prieghi de la mia compagnia costui sovvenni.
Ma da ch’è tuo voler che più si spieghi di nostra condizion com’ell’è vera, esser non puote il mio che a te si nieghi.
ma per la sua follia le fu sì presso, che molto poco tempo a volger era. |
"Chi siete voi che siete fuggiti dall’ inferno in direzione opposta
al fiume sotterraneo?" chiese egli, facendo ondeggiare la sua barba
degna di onore come la sua persona.
Chi vi ha guidati qui,
o quale luce vi ha mostrato la via, uscendo fuori dalla profonda notte che
rende sempre nera la valle infernale?
Le leggi dell'inferno
sono state così violate? O c'è un nuovo decreto divino che permette ai
dannati di venire ai uoghi rocciosi che io custodisco?
Virgilio allora mi
prese per mano e, con parole, gesti e atteggiamenti mi fece inchinare
rispettosamente.
Dopo lui rispose:
"Non venni per conto mio, una donna scese dal cielo e per sua richiesta
andai da lui.
Ma poiché è tuo volere che venga spiegata la nostra condizione in maniera precisa, non può essere che il mio volere ti si neghi. Questi non è morto, ma per il suo sviamento folle sarebbe passato ancora poco tempo prima della sua morte reale. |
Appena vede i due poeti, Catone, che è considerato dall’auctor un esempio di vita morale, si avvicina subito a loro chiedendogli
chi siano: lui pensa che siano due dannati che, risalendo il corso del fiume
sotterraneo, sono riusciti a fuggire dall'inferno. Si domanda chi abbia
violato le leggi infernali e permesso loro di accedere al purgatorio e si
chiede se addirittura sia stato il Cielo a concedere ai dannati questa
possibilità. Virgilio prende subito la parola per rispondere a Catone, ma
prima induce Dante a inchinarsi in
segno di rispetto e, successivamente, comincia a spiegare che lui e Dante non
sono dannati, ma che sono lì per molteplici motivi, e che lui in particolare
ha ricevuto un incarico dalla donna
del cielo, per fare da guida a Dante attraverso inferno e purgatorio. Egli precisa che Dante non è
ancora morto, ma che deve purificarsi dai suoi peccati per poter aspirare
alla salvezza, perché rischierebbe, se no, di essere molto vicino alla morte,
naturalmente la secunda, quella
dell’anima. Il primo canto del Purgatorio si presenta come un momento di
chiarimento, in cui viene ripeso il motivo della presenza di Dante e
Virgilio, e in cui si pone l'accento sulla necessità della purificazione
dell'anima. |
Lorenzo, Alessandro Ga., Canto I Purgatorio vv. 60-81
Sì com’io dissi, fui mandato ad esso per lui campare; e non lì era altra via che questa per la quale i’ mi son messo. | Così, come ho detto, sono stato mandato in suo soccorso per salvarlo; e non vi era nessun'altra strada da seguire se non quella che ho intrapreso. | Virgilio spiega a Catone che è stato incaricato da Beatrice, simbolo della divina provvidenza, di guidare Dante per salvarlo. Poi afferma che non c'è altra strada per salvarlo se non quella di scalare la montagna del purgatorio. |
Mostrata ho lui tutta la gente ria; e ora intendo mostrar quelli spirti che purgan sé sotto la tua balìa. | Ho fatto vedere a lui tutti i dannati dell'inferno; e adesso ho intenzione di fargli vedere quelle anime che si purificano sotto la tua custodia . | Virgilio evoca sinteticamente, con un’analessi, a Catone il viaggio intrapreso con Dante, alludendo fugacemente agli incontri con i dannati all’inferno, per poi dire (prolessi) che ora mostrerà a Dante le anime del purgatorio, futuri beati, custoditi da Catone. |
Com’io l’ ho tratto, saria lungo a dirti; de l’alto scende virtù che m’aiuta conducerlo a vederti e a udirti. | Come io abbia fatto a guidarlo fin qui, sarebbe troppo lungo da raccontare; dal cielo scende una virtù che mi aiuta a condurlo alla tua presenza e ad ascoltarti. | Virgilio spiega a Catone che sarebbe troppo lungo da raccontare il viaggio intrapreso con Dante, e aggiunge che in questo viaggio la divina provvidenza lo aiuta a condurre Dante da Catone e ad ascoltarlo. Virgilio con l’espressione “conducerlo a vederti e a udirti” si serve di una captatio benevolentiae, per persuadere Catone a essere benevolo nei loro riguardi. Il tono della captatio informa anche le terzine seguenti. |
Or ti piaccia gradir la sua venuta: libertà va cercando, ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta. | Ora ti prego di approvare il suo arrivo: egli è alla ricerca della libertà, che è così preziosa, come sa bene chi per lei rinuncia alla vita. | Virgilio sembra quasi incalzare Catone con un richiamo a una sorta di matrice ideologica comune a lui e a Dante: il viaggio intrapreso da Dante, guidato da Virgilio, porta alla libertà spirituale, proprio come Catone ha ricercato quella politica suicidandosi. . |
Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara in Utica la morte, ove lasciasti la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara. | Tu lo sai bene, perché la morte non ti fu amara in Utica, dove lasciasti il corpo che nel giorno del giudizio universale sarà così luminoso. | Virgilio rammenta dunque a Catone la sua morte a Utica, una città africana, anticipandogli che malgrado nel corso della sua vita sia stato pagano e sia morto suicida, durante il giorno del giudizio universale salirà comunque in paradiso. La libertà che ha cercato, ritenendola così importante, gli ha garantito la salvezza. |
Non son li editti etterni per noi guasti, ché questi vive e Minòs me non lega; ma son del cerchio ove son li occhi casti | Le leggi eterne non sono violate a causa nostra, perché questi è vivo e io non sono legato dalla giurisdizione di Minosse; ma sono del cerchio in cui si trovano gli occhi casti | Virgilio risponde alla domanda posta da Catone nel verso 46, spiegandogli che non hanno infranto nessuna legge, in quanto Dante non è un dannato ma è vivo, mentre lui non è legato alla giurisdizione di Minosse, essendo uno spirito del limbo. |
di Marzia tua, che ’n vista ancor ti priega, o santo petto, che per tua la tegni: per lo suo amore adunque a noi ti piega | della tua Marzia, che nell'aspetto ti prega ancora, o anima santa, che la consideri tua moglie: per il suo amore, dunque, accogli la nostra preghiera. | Virgilio, citando Marzia, moglie di Catone, utilizza nuovamente la captatio benevolentiae, ricordandogli gli affetti familiari e appellandosi a un sentimento (l’amore coniugale) che non ha più alcun rilievo per lui (come nei versi seguenti, con tono risoluto, ricorda a Virgilio). |
Francesco, Luca, Canto
I Purgatorio, vv. 82-99
Lasciane andar per li tuoi sette regni; grazie riporterò di te a lei, se d’esser mentovato là giù degni". "Marzïa piacque tanto a li occhi miei mentre ch’i’ fu’ di là", diss’elli allora, "che quante grazie volse da me, fei. Or che di là dal mal fiume dimora, più muover non mi può, per quella legge che fatta fu quando me n’usci’ fora. Ma se donna del ciel ti move e regge, come tu di’, non c’è mestier lusinghe: bastisi ben che per lei mi richegge. Va dunque, e fa che tu costui ricinghe d’un giunco schietto e che li lavi ’l viso, sì ch’ogne sucidume quindi stinghe; ché non si converria, l’occhio sorpriso d’alcuna nebbia, andar dinanzi al primo ministro, ch’è di quei di paradiso. |
Lasciaci proseguire per le tue sette cornici; ringrazierò lei per la tua
magnanimità, se ritieni sia degno nominarti laggiù». «Fin che fui in vita,
Marzia piacque ai miei occhi», disse egli quindi, «che ogni volta che mi
chiese un favore, io acconsentii. Ora che risiede al di là del fiume
infernale, non può più commuovermi, per quella legge che fu fatta quando io
ne uscii fuori. Ma se una donna beata ti guida e ti sprona, come dici tu, non
c’è bisogno di lusinghe: è sufficiente pregarmi in nome suo. Vai dunque, e
fai in modo di cingere i fianchi di costui con un giunco liscio e che si lavi
il viso, così che venga cancellato ogni sudiciume; perché non sarebbe
decoroso, con gli occhi offuscati da qualche impurità, presentarsi di fronte
al primo angelo del Paradiso. |
Dopo l’incauto tentativo di Virgilio di appellarsi all’amore per la
moglie Marzia al fine di accattivarsi la benevolenza di Catone, l’arcigno
custode risponde come, nonostante in vita
abbia amato molto Marzia e abbia fatto di tutto per lei, sua moglie ormai non
abbia alcun potere sul suo cuore in quanto si trova al di là del fiume
Acheronte, per una legge emanata quand’egli uscì dall’Inferno: alcuni confini
sono invalicabili, e ritornare indietro è impossibile. Il guardiano redarguisce
Virgilio: non c’è bisogno di lusinghe, il loro viaggio è voluto da una donna
celeste. Infine Catone conclude invitando Virgilio a ripulire Dante da tutte le impurità di provenienza infernale, in quanto non sarebbe opportuno presentarsi
in quel modo davanti al primo angelo del Paradiso. |
Alessandro Gi., Giacomo, Canto I, Purgatorio, vv. 100-117
Questa isoletta intorno ad imo ad imo, là giù colà dove la batte l’onda, porta di giunchi sovra ‘l molle limo;
102 null’altra pianta che facesse fronda o indurasse, vi puote aver vita, però ch’a le percosse non seconda.
105 Poscia non sia di qua vostra reddita; lo sol vi mosterrà, che surge omai, prendere il monte a più lieve salita».
108
Così sparì; e io sù mi levai sanza parlare, e tutto mi ritrassi al duca mio, e li occhi a lui drizzai.
111
El cominciò: «Figliuol, segui i miei passi: volgianci in dietro, ché di qua dichina questa pianura a’ suoi termini bassi».
114
L’alba vinceva l’ora mattutina che fuggia innanzi, sì che di lontano conobbi il tremolar de la marina.
117 |
Questa isoletta, nelle
sue parti più basse, là dove è battuta dalle onde, è piena di giunchi sul
molle fango; nessun'altra pianta che abbia fronde o un tronco rigido vi può vivere, perché non si piegherebbe all'impeto delle onde. Dopo, il vostro ritorno non sia da questa parte; il sole, che ormai sta sorgendo, vi mostrerà la direzione in cui trovare un più facile accesso alla montagna”. Detto ciò svanì; e io
mi alzai senza parlare, e mi avvicinai alla mia guida, rivolgendo a lui il
mio sguardo. La luce dell'alba
vinceva l'ultima ora della notte, che fuggiva al suo cospetto, cosicché da
lontano vidi il tremolio della superficie del mare. |
Dopo lo scetticismo iniziale del veglio solo, riguardante la legittimità
della presenza dei due pellegrini, al solo sentir che erano stati mandati da una donna
del cielo, di cui non fanno in tempo a dire il nome, Catone non pretende
ulteriori spiegazioni e li lascia procedere. Così il vecchio descrive dettagliatamente la morfologia del paesaggio
aspro che li aspetta, dove le uniche piante in grado di sopravvivere sono
quelle abbastanza flessibili, come i giunchi, da non farsi spezzare dalla
violenza del mare che circonda l’isola. Si tratta di una violenza quasi
sacra, che può rappresentare l'inflessibilità del giudizio divino davanti a
chi cerca di raggiungerla prima del previsto. Prima di svanire molto suggestivamente, lo spirito consiglia all'agens e al suo Duca di seguire il
sole, ormai prossimo a sorgere, un chiaro riferimento a Dio, pronto ad
indicare loro la retta via per proseguire il viaggio. Virgilio esorta un
Dante quasi traumatizzato, con fare paterno, a proseguire verso il basso dove
si trovano i giunchi, che utilizzeranno in seguito per il rito
lustrale. |
Noi andavam per lo solingo piano com’om che torna a la perduta strada, che ’nfino ad essa li pare ire in vano.120 Quando noi fummo là ’ve la rugiada pugna col sole, per essere in parte dove,
ad orezza, poco si dirada,123 ambo
le mani in su l’erbetta sparte soavemente ’l mio maestro pose: ond’io,
che fui accorto di sua arte,126 porsi ver’ lui le guance lagrimose; ivi mi fece tutto discoverto quel color che l’inferno mi nascose.129 Venimmo poi in sul lito diserto, che
mai non vide navicar sue acque omo,
che di tornar sia poscia esperto.132 Quivi mi cinse sì com’altrui piacque: oh
maraviglia! ché qual elli scelse l’umile
pianta, cotal si rinacque 135 subitamente
là onde l’avelse. |
Noi andavamo lungo la pianura solitaria,
come qualcuno che ritrova la strada perduta e che, fino ad
essa, ha creduto di camminare invano. Quando fummo là dove la rugiada combatte col
sole, poiché è in punto dove c'è ombra
ed evapora poco, il mio maestro pose ambo palmi in
su: allora io, che avevo capito cosa volesse fare, porsi verso
di lui le guance ancora sporche di lacrime: lui mi scoprì il colore del viso che l'inferno
aveva nascosto. Giungemmo poi sulla spiaggia deserta, che non vide
mai nessuno che poi fosse in grado di tornare indietro. Qui
Virgilio mi cinse come come Catone gli aveva detto: che
cosa meravigliosa, che l'umile pianta, appena sradicata dal
terreno, rinacque immediatamente nello
stesso punto Questa sezione di versi si apre con una similitudine: il cammino lungo la spiaggia del purgatorio coincide con quello di uno che ritrova la strada perduta, dopo aver camminato a lungo invano, con chiaro riferimento al passaggio attraverso l’interno (ire invano) e al ritrovamento della strada, finalmente, in purgatorio. Dante e Virgilio si trovano nel momento in cui il sole sta sorgendo e nei punti di ombra non è ancora evaporata la rugiada. Si predispone la scena del primo rito purgatoriale, che ha lo scopo di ripulire il viso sporco dell'agens dal fumo dell’inferno e dalle lacrime che in più occasioni l'hanno segnato. Virgilio pone le mani sull’erba e immediatamente Dante, che diventa ora protagonista della scena, capisce cosa fare e gli porge il viso. Il riferimento al mare che bagna quella spiaggia rappresenta un’allusione ripetuta al viaggio di Ulisse, che navigò in quelle acque, ma non fu capace di tornare indietro a causa della sua morte, provocata dalla volontà divina. Simbolicamente importante anche la pianta del giunco, l’unica in grado di crescere in quel luogo e che ha particolari proprietà, tra cui di essere duttile e flessibile, resistendo così alla forza delle onde, e di rinascere una volta strappata dal terreno. Il giunco rientra quindi nel rito lustrale in atto, poiché con esso Virgilio cinge i fianchi di Dante, come fosse una cintura e si procedesse a una vestizione. Quanto all’evento della ricrescita immediata della pianta, esso produce stupore in Dante, che lo coglie come un miracolo. |
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